domenica 29 luglio 2007

Parte la Homeless World Cup

Nemmeno il tempo di scendere in campo che l’Italia impegnata a Copenaghen, in Danimarca, nella V edizione della Homeless World cup, il campionato mondiale dei senza tetto di streetsoccer (si gioca quattro contro quattro), si trova costretta a fronteggiare una defezione.

Il nostro portiere titolare, l’argentino Francisco Mazza, si è infatti schiacciato una mano sotto una pressa mentre si trovava al lavoro, giusto un paio di giorni prima dell’inizio del torneo. Il suo posto è stato preso dal brasiliano Wilson Ferreira, convocato in fretta e furia d Bogdan Kwappik, tecnico e anima della selezione azzurra. La defezione è pesante ma non preclude i sogni di gloria dell’Italia.

Dopo aver vinto nel 2004 a Goteborg, in Svezia, e nel 2005 a Edimburgo, in Scozia, i nostri nutrono l’ambizione di tornare protagonisti dopo l’interregno della Russia, lo scorso anno in Sud Africa campione del mondo per la prima volta nella sua storia. Le 48 nazioni impegnate nell’edizione danese, che si chiuderà sabato 4 agosto con la finalissima, sono rappresentate da selezioni costituite senza limiti di età o sesso. I requisiti per partecipare sono l’aver patito nell’ultimo periodo la condizione di esiliati politici, l’aver vissuto senza fissa dimora o essersi trovati ad attraversare un periodo di riabilitazione.

L’Italia è così composta, tra gli altri, da Ernesto Vasquez salvadoregno padre di due bambini che vivono con lui in Italia. Quando Ernesto è arrivato nel nostro paese si è trovato senza un posto dove andare a dormire e senza un soldo, anche perché i pochi che si trovava tra le mani erano spesi per acquistare alcol a poco prezzo. La famiglia era rimasta in centro America e la disperazione era tanta. Abbandonata la bottiglia, trovati lavori pur saltuari, Ernesto riesce a risparmiare e permettere alla sua famiglia di raggiungerlo nel nostro paese. Oggi un lavoro fisso e una casa adeguata restano sogni, ma ogni mattina, al risveglio, Ernesto trova vicino a sé i figli. Poi c’è il brasiliano Anderson, che vive a Milano con il suo bagagio di fatalismo e tanti amci pronti a dargli una mano, ad ospitarlo dal momento che lui una casa l’ha mai avuta. Tra tanti sudamericani spunta la sagoma di un italiano, Emanuele Suppa, emigrato dalla Calabria a Milano con la famiglia. Disoccupato e lusingato dall’alcol, non se la passa meglio dei suoi compagni di nazionale. In Danimarca sarebbe dovuta andare anche Veronica Riscato, successivamente rimpiazzata da Sonia Urgiles, ecuadoregna che fantastica una casa propria da condividere con il suo ragazzo e magari un paio di figli; per adesso si accontenta di un posto letto in un’abitazione che contiene troppe persone. Veronica è stata esclusa per scelta tecnica. Il senso della manifestazione nella sua reazione alla scelta compiuta da Kwappik. Tante altre si sarebbero offese, lei, assieme a sua madre e sua nonna, ha cucito lo stemma dell’Italia su ogni maglia destinata a chi è partito per la Danimarca. Le ha consegnate ai suoi compagni col sorriso nonostante un pizzico di tristezza, dissimulata, per la mancata partenza. Alcuni tra i protagonisti di una nazionale titolata e precaria.


La Homeless world cup è per chi vi partecipa un’occasione per mettersi in luce, per riscattare condizioni di vita sfavorevoli, per scardinare i pregiudizi di parte dell’opinione pubblica italiana. Un gruppo di ragazzi e una ragazza con esistenze problematiche che sognano di regalare all’Italia il trofeo di campioni del mondo dei senza tetto. In due occasioni è già successo, dovesse ricapitare sarebbe il coronamento di un successo a prescindere. Nel primo girone di qualificazione l’Italia se la vede con Afghanistan, Svezia e Inghilterra. «Gli afghani possono scendere in campo con i giocatori della propria nazionale maggiore», dice Kwappik un po’ preoccupato. Sembra una battuta mal riuscita, invece ne avrebbero i requisiti e non è escluso che succeda davvero.

Erto

Erto è un piccolo paese di montagna che si trova nella valle del Vajont nell’alta Valcellina in provincia di Pordenone, limitrofo alla provincia di Belluno, ultimo comune a Nord-Ovest della regione Friuli-Venezia Giulia.
Erto è situato a circa 750 mt. sul livello del mare, Casso a 950 e il nuovo centro abitato di Stortàn a 830.
Nel 1955, quando sul suo territorio si stava costruendo la diga a doppia curvatura più alta del mondo sbarrando il torrente Vajont, Erto con Casso contava 2.100 abitanti che con il passare degli anni sono diminuiti a 1.600.
Nel 1956 nella scuola di Casso c’erano 80 alunni.
La tragedia del 1963 ha disperso molti abitanti nei paesi vicini.
Attualmente i residenti ad Erto sono circa 430 di cui un centinaio a Erto, venti-venticinque a Casso e il rimanente in località Stortan.
Gli Erto-cassanesi si trovano oltre che a Erto e Casso: a Nuova Erto di Ponte Nelle Alpi, a Longarone, a Cimolais, a Claut, a Vajont e nel villaggio “alla Roiatta” di San Quirino (PN).

Oggi la popolazione di Erto e Casso è impegnata prevalentemente nell'edilizia e nelle occhialerie o nelle altre industrie che si trovano nella vicina Longarone.
Sul territorio l'unica industria presente fino una decina di anni fa era un'impresa di Massa Carrara che estraeva marmo "ramello rosso e ramello bruno" a quota 1800, ora c’è un salumificio in località Frasèin presso il bivio per Casso, al di fuori della frana che però non impiega nessun paesano.
Nel paese nuovo ci sono due bar-ristorante, di cui uno pizzeria, un negozio di merceria-cartoleria ed un negozio di generi alimentari, a Casso un bar.
Dal settembre 2002 è stato aperto un ristorante nel centro storico di Erto.

E' il 9 Ottobre 1963 la data che purtroppo segna la storia di questo paese.
Un'immane ondata, provocata dalla frana del monte Toc che precipita nel sottostante lago artificiale, distrugge molte borgate, provoca oltre 200 morti (ed oltre 1700 a Longarone, Castello Lavazzo ed altri centri in provincia di Belluno) e determina una immediata evacuazione del paese.
In seguito Erto fu dichiarato "zona a rischio" e venne deciso il trasferimento degli abitanti in zone sicure.
Gli ertani ed i cassani, dovettero trasferirsi in altri centri abitati:, molti scelsero di ricostruire a Vajont, Ponte nelle Alpi (BL), Longarone (BL).
I più affezionati al luogo d'origine si ostinarono a non voler lasciare il paese, riconquistano l'abitabilità dei vecchi abitati a suon di posti di blocco ed azioni di forza, vivendo anche senza luce. Solo diversi anni più tardi dopo lunghe battaglie, verso il 1970 si dette inizio alla ricostruzione più a monte del vecchio abitato a quota 830 mt. (quota sicurezza) nella località chiamata "Stortan", mentre nei vecchi centri rimasero solo una decina di famiglie.
Ultimamente molte persone che lasciarono il paese dopo la tragedia stanno ritornando a sistemare le loro vecchie case, trovando strade, acquedotto e servizi grazie a coloro che hanno avuto la forza ed il coraggio di rimanerci 30 anni fa.

Erto per la sua architettura di montagna, spontanea e particolare, nel 1976 fu dichiarato monumento nazionale e pertanto vincolato con la legge 1089 del 1939.
Essendo uno dei sei paesi che costituiscono il territorio del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane, (ex delle Prealpi Carniche) per oltre la metà del suo territorio, negli ultimi anni ha attratto numerosi naturalisti, alpinisti, studenti che visitano anche il Centro Visite del Parco, dove, su due piani si estende il Museo del Vajont.
Fanno corona ad Erto le cime Borgà (Boscè), Buscada, Duranno (Duran), Porgèit, Cornetto (Cornet) Cèrten (Thertèn), Col Nudo (Col Briè) e il Monte Toc ricche di fauna anche rara, come il gallo forcello, il cedrone, il tasso, il camoscio, il capriolo, la marmotta, l'aquila, il cervo e anche qualche esemplare di stambecco e, sul lago rimasto, l'airone cenerino.

Qui ci sono i più bei fiori delle nostre Alpi, dalla stella alpina al rododendro, dal giglio martagone alla nigritella.
Particolarmente affascinanti sono le escursioni in Val Zemola, un sentiero segnato porta al Rifugio Maniago che si trova ai piedi del monte Duranno, o in Val Mesazzo, a Casera Ditta, inoltre, nei pressi della diga del Vajont esiste una palestra naturale di roccia, famosa in tutto il mondo e meta di numerosi arrampicatori attrezzata dallo scultore-scrittore Mauro Corona che vive e lavora a Erto.
Confinante con il territorio di Erto ad ovest, nel vicino Veneto, si estende il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi.

Ricca di storia e di fascino è la Sacra Rappresentazione della Passione di Gesù Cristo.
Risalente alla seconda metà del 1600, impegna tutto il paese di Erto in occasione del Venerdì Santo.
E' un immancabile appuntamento.

sabato 28 luglio 2007

Davide Ancilotto

Davide Ancilotto è stato un cestista italiano, scomparso all'età di 23 anni il 24 agosto 1997.
Nato a Mestre il 31 gennaio 1974, Davide inizia a giocare a pallacanestro sin da giovane, sperimentando prima vari ruoli, per poi diventare guardia, nonostante i 201 centimetri di altezza, notevoli per una guardia in Europa, diventando una dei giocatori più importanti in questo ruolo nel continente.
Proprio la sua altezza lo rendeva un giocatore atipico per il suo ruolo, non bellissimo esteticamente, ma concreto.

In serie A disputa 178 partite: le prime quattro stagioni a Caserta (1991-1995, tre in A1 e l'ultima in A2), poi alla Madigan Olimpia Basket Pistoia (1995-1996), per approdare alla sua ultima squadra, la Telemarket Roma, nella stagione 1996-1997, nella quale colleziona 28 presenze.
Nel 1996 stava per essere ceduto alla squadra spagnola del Badalona ma scelse di restare in Italia e giocare nella squadra della capitale.
In carriera in Serie A ha messo a segno 1890 punti.
Debutta in nazionale il 12 novembre 1995 contro la Finlandia, a Helsinki, indossando la maglia azzurra per 18 volte.

Durante una gara estiva amichevole, parte di un torneo quadrangolare di precampionato, disputata a Gubbio, Ancilotto fu vittima di un malore improvviso.
Il giocatore è poi deceduto all'ospedale "San Filippo Neri" di Roma, dove era stato ricoverato per una settimana, per un aneurisma cerebrale, la sera del 24 agosto 1997.

In suo onore, a Mestre, la sua città natale, il Palazzetto dello Sport del CONI è stato ribattezzato con il suo nome, "Davide Ancilotto".
A Roma, la Virtus Pallacanestro Roma ha ufficialmente ritirato il suo numero di maglia, il 4, e la tifoseria gli ha dedicato la curva, ricordandolo ogni partita con uno striscione.
A Caserta, città dove Ancilotto si è affermato alla ribalta della pallacanestro nazionale ed internazionale (4 stagioni in casacca bianconera), la curva del Palamaggiò è intitolata ufficialmente al suo nome.

Il giorno 2 giugno 2007, a poche ore da una storica semifinale per la sua ultima squadra (la Virtus Roma), il sindaco della capitale Walter Veltroni, insieme al presidente della Virtus Lottomatica Roma Claudio Toti e alcuni dirigenti della squadra, ha provveduto a dedicargli una targa nella città Eterna, in prossimità del PalaEur.

venerdì 27 luglio 2007

Cassin, Ratti e la Ovest di Lavaredo

E' il 26 agosto del 1935. Riccardo Cassin e Vittorio Ratti, reduci dall'impresa vittoriosa sulla Torre Trieste in Dolomiti, partono alla volta delle cime di Lavaredo. L'obiettivo, sulle ali dell'entusiasmo, è quello di salire la cima Ovest lungo la parete nord.
Grandi cordate sono già state respinte dalla parete. Nomi come quelli di Emilio Comici, Mary Varale, Angelo Dimai. E ancora Raffaele Carlesso e Toni Demetz.
Sulla via di salita, le difficoltà, ad un certo punto, sono enormi. Il limite, che pare insuperabile, è un esposto traverso che nessuno è mai riuscito a passare. Si tratta del cosiddetto "limite Comici".

Il tempo è brutto, in quell'agosto. Banchi di nebbia si alternano a scrosci di pioggia intermittente. Alla base della parete, però, c'è anche una forte cordata proveniente dal Kaisergebirge, in attesa. Ne fanno parte Hintermeier e Joseph Meindl, che hanno dalla loro una buona conoscenza della montagna.
Nell'aria, si respira l'atmosfera della grandi sfide.

Il giorno 27, Cassin e Ratti danno un primo assaggio alla nord.
Avvolti dalla nebbia che li nasconde agli occhi dei tedeschi, risalgono i primi metri di roccia per prendere visione del terreno e lasciare all'attacco i materiali ben celati.
Il tentativo è fissato per il giorno dopo.
Il tempo è ancora pessimo la mattina del 28 agosto. Ma ormai la decisione è presa.

Alle 7.30 inizia la scalata.
Prima una fessura superficiale, poi una cengia che porta a un camino e a un colatoio.
Le difficoltà sono sostenute. Ma dopo un potente strapiombo a tetto, i due giungono alla prima sosta.
Una schiarita, ahimè, rivela ai tedeschi le loro intenzioni.
I bavaresi li vedono e si precipitano all'attacco. Ma sarà inutile.
La gara terminerà prima di mezzogiorno. Quando, dopo 4 ore di scalata estrema, i due italiani sono all'inizio del fatidico limite Comici.
I tedeschi invece gettano la spugna e ridiscendono.
Da quel punto alla cengia sovrastante ci sono 40 metri di parete liscia e strapiombante.
Per tutte le 7 ore successive, Cassin e Ratti faranno i conti con l'impossibile passaggio.
Quattro ore per fissare un chiodo, racconterà più tardi Cassin, con voli continui. E con Ratti costretto a manovrare le corde appeso ad una staffa nel vuoto.

E' solo con il buio che la sospirata cengia viene raggiunta.
E' stretta, inclinata. Ma ormai non c'è più tempo per andare oltre.
La notte è vicina: bisogna bivaccare lì, dormendo in piedi con due chiodi piantati alle spalle per ancorarsi alla montagna.
Sono 200 metri dalla base. E la cengia ne sporge di almeno 30 rispetto al punto di partenza.

La notte non è certo comoda.
Appesi a un cordino, i due si svegliano più volte a penzoloni nel vuoto. E verso mezzanotte si scatena l'inferno.
Un potente temporale sferza la montagna e la parete diventa viva.
Scariche di pietre e acqua, e la temperatura che si abbassa.
Un'unica protezione, un altro tetto che sporge sopra la cengia e che risparmia un pò di acqua ai due lecchesi.
Quando finalmente l'alba illumina le tre cime, il temporale si è esaurito ma la parete è intrisa di umidità.
I due sono all'inizio del famigerato traversone: una cengia strapiombante lunga 17 metri, che impegnerà i due alpinisti per tutta la giornata. "E' stato come camminare appesi con le mani a una grondaia e i piedi sul muro della parete. Ma con 250 metri di strapiombo sotto" racconterà Cassin.
Superato il traverso,la salita procede rapida nonostante le difficoltà.
Finchè non inizia a calare il buio.
Serve un nuovo bivacco in parete.
Stavolta la posizione è più comoda: almeno si può stare seduti.
Tuttavia non sarà una notte indolore.
Ancora un temporale, più forte del precedente, inzuppa Cassin e Ratti. E li costringe a stare stretti l'uno all'altro per ore, scossi dai brividi del freddo.
Poi, finalmente, è mattina.
Ma si tratta di un'alba senza sorriso.
Il cielo è grigio e le nubi minacciano ancora pioggia.
La temperatura non accenna a salire. Ma i due partono comunque.

La parete sembra un grande colatoio.
Dall'alto precipitano secchiate d'acqua che costringono gli alpinisti a due ore di scalata ardua per superare l'ennesimo strapiombo.
Poi, la sopresa.
Dalla parete spunta una grotta ampia e accogliente.
Prima ancora che Ratti, secondo di cordata, la raggiunga, i primi fiocchi di neve iniziano a cadere.
Di lì a poco, si scatena di nuovo la bufera.
Una grandinata incrosta di ghiaccio la parete.
Poi alle 11 un pallido sole comincia a far capolino.
La temperatura resta comunque bassa: il ghiaccio non si scioglie.
Cassin e Ratti decidono di ripartire lo stesso.
Con ai piedi le sole pedule, e a colpi di martello per liberare gli appigli, tracciano una via quasi perfettamente verticale sotto alla cima della Ovest.
Le difficoltà diminuiscono finchè, alle tre del pomeriggio,ecco l'uscita in vetta.
Dopo 500 metri di dislivello e 60 ore in parete, uno degli ultimi "problemi" delle Alpi è risolto
Al loro ritorno Cassin e Ratti troveranno un'altra sorpresa: i tedeschi attendono i vincitori con una mazzo di stelle alpine e del the caldo.

Lealtà sportiva di un tempo che fu.
Hintermeier e Meindl saranno i primi a ripetere la via Cassin-Ratti. Mentre i lecchesi, di ritorno a casa, vengono portati in trionfo dai concittadini.
Ad accoglierli una stazione affollatissima,la banda e un corteo festante.
Altri tempi.

mercoledì 25 luglio 2007

Come nacquero le stelle alpine

La Regina delle Nevi era una fata bellissima. Pastori e cacciatori che s’inerpicavano lassù, sulle vette eccelse delle Alpi, dove regnano le nevi perpetue, restavano incantati della sua tanta bellezza e avrebbero dato qualunque cosa per poterla sposare.
Davano infatti quasi sempre la vita. Perché una legge implacabile del destino impediva che la Fata potesse sposare un mortale. La Regina delle Nevi del resto doveva aver proprio un cuore di ghiaccio: attirava presso il suo palazzo di cristallo i malcapitati, li accoglieva benevolmente, poi, sul più bello, appena essi le domandavano di sposarli, sbucavano fuori, a un suo cenno, migliaia e migliaia di folletti da tutti i crepacci delle rocce.

Erano tanti e tanti, che non se ne vedeva la fine e, circondando il pretendente e sospingendolo verso l’abisso, lo facevano precipitare giù per i picchi dirupati. Il giorno dopo qualche alpigiano ritrovava il suo cadavere sulla riva del torrente.

Un giorno, questa sorte crudele toccò a un giovane ardito cacciatore di camosci, il più bel giovane che si fosse mai veduto al mondo. Aveva visto la Regina delle Nevi in una rosata aurora di maggio e n’era restato cosi affascinato che, tornato in pianura a casa sua, non aveva più trovato pace e non pensava che a lei.

Era timido e ingenuo, e perciò non osava ancora rivolgere alla bellissima Regina la fatale domanda di nozze: ma, da quel primo giorno che l’aveva ammirata, era tornato più volte nel regno delle nevi per aver la possibilità di rivederla ancora. Si sedeva ai piedi di lei, taciturno, e stava ore intere a contemplarla senza nemmeno muoversi.

La Fata era in verità commossa di questa muta ammirazione. E siccome il giovane non domandava di sposarla, non c’era ragione di chiamare l’aiuto dei folletti. Forse anche, chi sa, senza avvedersene, la Fata gli si era affezionata. E se non ci fosse stata la legge del destino a vietarle le nozze con un mortale, forse quello era l’unico uomo che si sarebbe adattata a sposare.

I folletti se ne erano accorti e temendo che la loro Regina potesse un giorno trasgredire la legge e attirare nel regno il castigo, di loro spontanea iniziativa, senza aver avuto alcun ordine dalla loro sovrana, anzi a sua insaputa, una volta che videro il giovane salire le balze dirupate del monte, lo attorniarono e lo spinsero nell’abisso sottostante.

Era il tramonto e le torri lucenti del gran palazzo di cristallo, dimora della Regina, erano tutte rosate per l’ultima carezza dei raggi del sole morente. Da una finestra del palazzo, la Regina delle Nevi aveva visto ogni cosa.

Era fatale che fosse cosi, ma il cuore di ghiaccio della Regina delle Nevi si era a poco a poco mutato in un povero cuore sensibile di donna: dai suoi occhi divinamente belli scesero calde lacrime che, rotolando giù, come vive perle, sulla superficie levigata del ghiacciaio, scesero tra le rupi e li si fermarono, cambiandosi in piccole stelle d’argento.

Così nacquero le stelle alpine ("edelweiss" in tedesco), che spuntano proprio sul margine dei precipizi per ricordare, agli audaci che vogliono coglierli sfidando il pericolo, l’antica storia d’amore e di morte del giovane cacciatore di camosci che amò segretamente la Regina delle Nevi e fu da lei segretamente riamato.

Manu Chao mùsica y libertad

Manu Chao (Parigi, 21 giugno 1961); all'anagrafe José Manuel Thomas- Arthur Chao; noto anche con il nome Oscar Tramor è un cantante francese di musica folk e latina di origini galiziano.

I genitori di Chao sono di origine spagnola, o per esser più precisi la madre è basca ed il padre, lo scrittore Ramón Chao, proviene da Vilalba in Galizia.
I due si spostarono a Parigi per sfuggire alla dittatura di Francisco Franco, che durò fino alla morte del dittatore, nel 1975.

Manu Chao crebbe nella zona suburbana di Parigi ed esordì nella musica alternativa parigina con le band Hot Pants e Los Carayos.

Nel 1987, Chao, il fratello Antoine Chao ed il loro cugino Santiago Casariego fondarono la band Mano Negra che ebbe subito successo in Francia con il singolo Mala vida. Dopo un tour in Sud America nel 1995, la band si divise.

Manu Chao canta in francese, spagnolo, arabo, galiziano, portoghese, inglese e Wolof, mescolando inoltre spesso più lingue nella stessa canzone.

Nonostante sia uno degli artisti ad avere venduto più dischi al mondo, Manu Chao non gode di grande considerazione nei paesi anglofoni in cui l'artista parigino non è mai riuscito a sfondare.
La sua musica ha subito molte influenze: il rock and roll, la chanson francese, la salsa spagnolo-americana, il reggae, lo ska ed il raï algerino.

Queste influenze sono state ricevute da Manu Chao tramite le sue relazioni con altri immigrati in Francia, dalle sue relazioni con la Spagna, terra natia dei genitori, e dai viaggi in Mesoamerica come nomade.

I testi trattano soprattutto di amore, di immigrazione e della vita nei ghetti, e spesso portano un messaggio di estrema sinistra. Anche la maggior parte dei suoi fan appartengono ai movimenti no-global e di sinistra.
Assieme a Tonino Carotone ha suonato la sigla "La Trampa" della commedia Drew Carey's Green Screen Show.
Tra il 2003 e 2004 ha collaborato con gli artisti malinesi Amadou & Mariam, producendo il loro album Dimanche à Bamako, nel quale ha anche partecipato come cantante.

Tornerà con un nuovo progetto discografico, l'album si intitolerà "La Radiolina"e uscirà il 4 settembre.

martedì 24 luglio 2007

Perù: i tirolesi dell'amazzonia di Pozuzo

Nel 1849 fu promulgata una legge che favoriva l'immigrazione straniera nei distretti a ridosso dell'amazzonia peruviana, generalmente abitati solo dalle popolazioni native, in gran parte indios di razza meticcia.
Si voleva così ricreare una sorta di Reducciones, le famose "Riduzioni" nate nel 1700 tra i confini del Brasile, Uruguay e Paraguay, vere e proprie colonie indipendenti dove le popolazioni indigene venivano "civilizzate"ricevendo istruzioni di civiltà e religione, arti e mestieri.
Nel 1855 fu dato via libera in maniera definitiva al progetto di immigrazione per mano del governo Castilla che intendeva insediare circa 10.000 coloni.
I primi 300 coloni arrivarono nella valle di Pozuzo il 25 luglio 1859 e per circa 120 anni nessuno seppe niente di loro.
Vissero così totalmente abbandonati dalla patria nativa e al riparo dalle vicende politico-storiche del loro nuovo paese: il Perù.

Il popolo biondo non si è perso d'animo per questi "cent'anni di solitudine", anzi ha reagito all'isolamento lungo e forzato sviluppando una buona economia locale che, con l'apertura di una prima strada nel 1970, ha permesso a questi uomini di lingua tedesca di iniziare un commercio ed un interscambio commerciale con le regioni peruviane confinanti, comportando inevitabilmente alcune prevedibili contaminazioni sociali.
Ma Pozuzo e gli altri villaggi appaiono comunque ben saldi e determinati nel mantenere le loro origini: il cibo, i vestiti tipici che vengono indossati nei giorni di festa, le stesse abitazioni in legno di stile prettamente tirolese con tetti alti a forma di punta, con i balconi ed i giardini curati ed in perenne fioritura, qui tutto conferisce e rimanda alle dolci vallate delle nostre Alpi, con la differenza che siamo sulle pendici a ridosso della selva amazzonica.
E' un esperienza unica ed affascinante, arrivare fin qui, dove finiscono tutte le strade e si prosegue seguendo le anse di un fiume.
Poi finalmente dopo l'angoscia del percorso che sembra non portare a nulla ed in nessun posto e dopo quasi dieci ore dall'ultimo avamposto, ecco Pozuzo: il paradiso nascosto, la valle del popolo biondo.
Dimenticato il serpentone che accompagna il rio Huancabamba finalmente il diradarsi della foresta, apre uno scenario unico e irripetibile: alberi e fronde ricche di foglie e fiori straordinari; magiche e colorate orchidee rubano l'interesse alle numerose cascate e corsi d'acqua che fanno sembrare questa piccola regione un eden terreno.

Il Parco Nazionale Yanachaga-Chemillén comprende Pozuzo ed altri piccoli villaggi situati a circa 350 km dal capoluogo Cerro de Pasco; abitati da popolazioni austro-germaniche emigrate fin qui dopo aver rincorso un sogno di prosperità e felicità negato in patria nei primi anni del 1800.
Un emigrazione lunga e dolorosa che decimò le poche centinaia di persone che dopo un viaggio da incubo si stanziò in queste valli dando per sempre un addio alla loro terra di origine ma non per questo dimenticandone gli usi ed i costumi.
L'eden di Pozuzo è stato creato dalla gente, ed è la gente di Pozuzo la ricchezza più grande.
Qui ci puoi lasciare veramente il cuore; la bellezza e la freschezza di queste genti molto semplici ti pervade di "saudade", nostalgia per la vecchia cara Europa.
Pozuzo, Oxapampa (a 1814 mt. di altezza) e gli altri centri più piccoli della regione del Pasco, vivono principalmente di allevamento di bestiame e di agricoltura con la produzione di caffè e parecchie varietà di frutta e verdura.
Il turismo non rappresenta al momento una voce di rilievo per la comunità austro-germanica, anche perché la destinazione è fuori dai percorsi tradizionali del Perù più turistico.
Il periodo di maggior festività è la settimana che dal 25 luglio celebra la fondazione della colonia.
Rodei, gare di bellezza, musica tirolese, carri allegorici e grandi libagioni rendono piacevole il soggiorno tra questa comunità, che ha saputo ben integrarsi con le popolazioni locali, quelle che da sempre chiamano la valle con il nome di "Pozuzu" ovvero "il fiume di acqua salata" in lingua amuesha.

Per arrivare in questi luoghi si deve prendere da Lima la Carretera Central fino a La Oroya, attraversando molte regioni che si differenziano per idrografia e geografia.
Tarma, San Ramon e La Merced sono gli ultimi avamposti che indicano la lunga via per Oxapama prima e poi per Pozuzo.
Le strade sono condizionate dalla stagione piovosa che spesso le rende impraticabili in alcuni tratti.

lunedì 23 luglio 2007

Tarahumara, il popolo della leggenda

Chiamati anche Raramuri (piedi leggeri), i Tarahumara sono conosciuti come corridori eccezionali su lunghe distanze.
Oggi si pensa che siano dai 50.000 ai 70.000 individui sparsi nei municipi di Guerrero, Bocoyna, Ocampo, Uruachi, Chinipas, Guazapares, Urique, Morelos, Batopilas, Guadalupe y Calvo, Balleza, Rosario, Nonoava, San Francisco de Borja y Carichi (Messico).
Le regioni montane in cui vivono si dividono in Alta e Bassa Tarahumara, alla prima corrisponde la parte dominata dalla Sierra Madre Occidental, la seconda comprende anche la parte dei canyon e le terre calde dello stato di Chihuahua. Durante le grandi feste le tribù usano bere un liquore da loro stessi prodotto e derivato dal mais che si chiama "tesguino" (batari), non disdegnano nemmeno il peyote che però è usato principalmente nei riti degli sciamani.
La loro alimentazione si basa principalmente sulla coltivazione del mais, ma sanno sfruttare benissimo oltre trecento specie di piante per ricavarne ogni genere di sostentamento, per usi medicinali e religiosi.
Sono una tribù che ha scelto di vivere appartata e lontana dalla cultura occidentale.
Vivono in forma primitiva e si alimentano principalmente di fagioli e mais.
Sono dei bravi tessitori e producono coperte di lana di disegno semplice però di eccellente qualità che produce il giusto calore per i rudi inverni dei canyons.
Anche questi indios hanno sofferto molto dell'arrivo dei conquistadores che hanno in parte decimato alcune tribù più esposte alla tubercolosi ed ad altre malattie da loro introdotte.
I missionari gesuiti arrivati fin qui hanno aiutato ad alleviare le infermità di queste popolazioni portando inoltre assistenza ed assicurando una primaria educazione scolastica ai più piccoli.
Gli uomini usano una bandana sulla testa chiamata "kowera" , le donne oltre al tradizionale vestito portano una cintura chiamata"pukera".
Il loro linguaggio è spesso colorito e complicato e capita di ricevere il loro buongiorno con frasi del tipo: "ti saluto come la colomba che gorgheggia felice e auguro felicità e salute a te ed a quelli che ti amano".
Tra i Tarahumara tutto appartiene a tutti, non esiste la proprietà privata, anche il cibo è equamente condiviso.
Eleggono un loro governatore locale, generalmente una vecchia persona saggia che a sua volta nomina i sacerdoti e gli sciamani che vanno poi per i villaggi a predicare l'orgoglio di essere Raramuri, insegnando i costumi e la morale che debbono osservare.
Sono considerati una popolazione intelligente e misteriosa che però oggi vive perennemente povera e malnutrita correndo così grossi rischi di estinzione.
Solo la comune solidarietà tra i vari gruppi e l'aiuto di alcune associazioni di volontariato ha evitato che le frequenti carestie riducano ulteriormente l'aspettativa di vita.

Padre Alex Zanotelli

Alessandro Zanotelli , noto come padre Alex Zanotelli (Livo, 26 agosto 1938) è un religioso italiano, facente parte dell'ordine missionario dei Comboniani di Verona.
È l'ispiratore ed il fondatore di più movimenti italiani che hanno l'obiettivo di creare le condizioni della pace e di una società solidale in cui gli ultimi abbiano cittadinanza.
Dopo aver finito le medie ed iniziato le superiori si trasferì negli Stati Uniti d'America a Cincinnati al fine di compiere gli studi di Teologia, terminati i quali venne ordinato sacerdote, nel 1964.
Furono gli anni di John F. Kennedy e Martin Luther King che influenzarono notevolmente il giovane Alex.
Dalla biografia scritta da Mario Lancisi si ricava una sintesi di quel periodo racchiusa in un pensiero: «La mamma lo ha sempre desiderato. Io non volevo né studiare, né diventare sacerdote. Quando ho preso la mia decisione, lei si è sobbarcata l'onere di trovare qualcosa in più per farmi studiare. Sentivo che la vita poteva avere un significato molto più largo, che la vita era bella se la si donava».
Come missionario comboniano partì per il Sudan meridionale, martoriato dalla guerra civile, dove rimase otto anni.
Fu allontanato dal governo a causa della sua solidarietà con il popolo Nuba.
Il motivo dell'avversità governativa e di una parte della curia romana (ostilità quest'ultima che si farà sentire anche in seguito) è stata la scelta, sempre nel rispetto ed in accordo con i vescovi, di officiare celebrazioni che attingevano agli usi e ai costumi africani.
Ciò creava fastidi ai governanti sudanesi che vedevano una pericolosa commistione fra religione "straniera" e riti locali di un popolo osteggiato.
Le sue prediche erano veementi: denunciava le ingiustizie e metteva sotto accusa i responsabili corrotti del governo e dell'amministrazione, che intascavano i fondi, sia locali sia internazionali, destinati allo sviluppo.
Il suo obiettivo era applicare alcuni principi evangelici alla realtà storica in cui viveva.
La casa madre dei comboniani di Verona era il luogo tranquillo dove si trovavano in maggioranza preti anziani di ritorno dalle missioni e una casa editrice con due giornali di punta: Il Piccolo Missionario e Nigrizia, una rivista che era una sorta di bollettino delle attività dell'ordine nelle missioni, nata nel 1883.
Nel 1978 assume la direzione di Nigrizia e, togliendo spazio alla parte religiosa, contribuisce a trasformarla in un mensile di informazione, con un obiettivo che si può riassumere in una sua dichiarazione: «Essere al servizio dell'Africa, in particolare "voce dei senza voce", per una critica radicale al sistema politico-economico del nord del mondo che crea al Sud sempre nuova miseria e distrugge i valori africani più belli, autentici e profondi».
Per una decina di anni, Zanotelli prende posizioni sempre più precise rivolgendosi all'opinione pubblica italiana, affrontando, in maniera sistematica e con la collaborazione della rete dei missionari presenti sul territorio, i temi del commercio delle armi, della cooperazione allo sviluppo (affaristica e lottizzata), dell'apartheid sudafricano.
Essere al centro di una rivista di punta, associato al fatto di essere un leader naturale e carismatico, lo porta a ispirare e fondare con altri il movimento Beati i Costruttori di Pace, con cui ha condotto molte battaglie in nome della cultura della mondialità e per i diritti dei popoli.
Le sue denunce avevano preso di mira esponenti di primo piano della classe politica di allora, da Andreotti a Spadolini, da Craxi a Piccoli.
Denunce che, di fatto, anticiparono la stagione di Tangentopoli.
Le sue parole: «Tutto è cominciato nel gennaio 1985 con la pubblicazione dell'editoriale "Il volto italiano della fame africana", una pesante denuncia del sistema di aiuti ai paesi del Terzo Mondo. Scoppiò un finimondo - racconta padre Alex -. Tangentopoli poteva scoppiare allora, c'erano già tutti gli elementi. Dalla fame passammo poi alle armi, ai problemi legati all'ambiente, insomma mettemmo a nudo il sistema. Spadolini su L'Espresso attaccò pesantemente i cosiddetti preti rossi. Giunse persino ad accusarmi di incitamento alla delinquenza terroristica internazionale».
Il periodo 1985-87 fu contrassegnato da una serie di accuse nei suoi confronti, specialmente riguardanti il suo spiccato impegno politico che andava a discapito della missionarietà religiosa. Zanotelli lo definì «un periodo di grande sofferenza umana» in cui la sua crisi personale lo portò ai dubbi: «sono davvero sicuro di aver detto la verità? È possibile che 50 milioni di italiani non vedano gli scandali?»
Nel 1987 - su precise richieste delle autorità ecclesiastiche, dovute ad un suo allontanamento dai principi religiosi cattolici - Alex Zanotelli lasciò la direzione di Nigrizia.
In seguito diventò direttore responsabile della rivista Mosaico di pace sin dalle prime pubblicazioni (settembre 1990) per espresso volere di don Tonino Bello, allora presidente di Pax Christi e vescovo di Molfetta.
Fino al 2001 Zanotelli rimase a Korogocho (nella lingua locale significa confusione, caos), una delle baraccopoli che attorniano Nairobi, la capitale del Kenya.
Qui dette vita a piccole comunità cristiane, ma anche ad una cooperativa che si occupava del recupero di rifiuti e dava lavoro a numerosi abitanti; istituì Udada, una comunità di ex prostitute che aiuta le donne che vogliono uscire dal giro e, allo stesso tempo, si battè per le riforme sulla distribuzione della terra, uno dei temi-chiave della politica keniota.
Lo spaventoso degrado umano a Korogocho, dovuto a vari fattori quali AIDS, fame, prostituzione, droga, alcolismo, violenza, lo spinse a formulare la frase: "Forse Dio è malato", che divenne il titolo del libro sull'Africa di Walter Veltroni, che da ex segretario dei Ds, all'inizio del 2000, si recò in visita a Korogocho (unico leader politico che, fino ad allora, aveva visitato la città oltre a Jesse Jackson il reverendo nero democratico statunitense).
Dalla biografia del giornalista del Tirreno Mario Lancisi, si hanno le riflessioni di Zanotelli sull'esistenza di Dio, che vanno oltre la frase ripresa da Veltroni: alla domanda se abbia mai dubitato della sua esistenza, risponde: "Non una ma molte volte. Quando uno si trova in situazioni così assurde, davanti ad una sofferenza innocente, come è capitato a me a Korogocho, il primo dubbio che viene è proprio su Dio. Perché uno si chiede: ma se tu, Dio, ci sei, è impossibile che non intervenga di fronte ad una sofferenza così atroce. Ma oggi Dio è impotente, è malato. Potrà guarire solo quando guariremo noi. Solo noi oggi possiamo far qualcosa. Dio non può più. Ognuno di noi è importante perché vinca la vita...". Dio non è onnipotente? "Più ci rifletto e più mi convinco che forse Dio non è l'onnipotente che pensiamo noi. È il Dio della croce. Perché non ha ascoltato la preghiera di Gesù morente? È un mistero. Forse è un Dio debole, che si è autolimitato, che può salvarci solo attraverso di noi".
Questa e altre frasi simili sono alla base del distacco di Zanotelli dall'insegnamento cattolico e dalla dottrina sociale della Chiesa.
Durante l'anno che trascorre in Italia, a cavallo delgli anni '95-'96, Zanotelli lancia l'idea della Rete Lilliput.
Lo fa durante una serie di incontri con alcune associazioni di ispirazione cattolica, come ad esempio il gruppo Abele e la comunità romana di Capodarco.
Dopo il suo ritorno in Italia, padre Alex diventa punto di riferimento del movimento new global e della Rete Lilliput partecipando in prima persona alla organizzazione e gestione del Social Forum europeo di Firenze (6-10 novembre 2002), che sancisce la scelta della linea di quelli che si sono battuti, dal G8 di Genova in poi, per eliminare la tentazione, da parte di minoranze del movimento new global, di scegliere la via violenta.
All'European Social Forum di Firenze fu chiaro con le frange estreme ed espresse il concetto di civiltà della tenerezza.
Oggi Zanotelli si trova nel rione Sanità di Napoli, uno dei simboli del degrado sociale del nostro Paese.
Vive nella comunità Crescere Insieme, dove trovano rifugio i tossicodipendenti più emarginati del quartiere Sanità.
In un contesto diverso, come a Korogocho, ha un solo obiettivo di fondo: "Aiutare la gente a rialzarsi, a riacquistare fiducia".

domenica 22 luglio 2007

Il tango

Alla fine dell'800 e nei primi del '900 in Argentina la cultura africana si fuse con le influenze brasiliane ed europee portando la Milonga (la musica dei Gauchos) a mescolarsi con il Lunfardo, la Mazurca e la Habanera cubana; in poco tempo il ritmo sincopato divenne popolare e ancora di più il ballo sensuale che ne accompagnava le note si impose subito nei quartieri più popolari di Buenos Aires.
Nacque così a poco a poco il Tango con il suo ballo di coppia che si arricchì ben presto dell' accompagnamento del famoso Bandoneon: una specie di fisarmonica di origini tedesche.
Più tardi anche gli immigrati italiani diedero il loro contributo introducendo la vera e propria fisarmonica a tasti, suonando e componendo molta musica che poi riproposero in Italia.

Tra i tanghi più importanti dei primi del '900 c'è La Morocha e Felicia di Enrique Saborido assieme ai grandi strumentisti di Bandoneon: Eduardo Aròlas 1893/1924 e Juan Maglio 1880/1934.

Le orchestre dell'epoca erano di solito composte da un quartetto che comprendeva: Bandoneon, Chitarra, Violino e Piano o Flauto.

Dagli anni venti agli anni quaranta il ballo letteralmente invase l'europa diventando popolarissimo e dando vita ad un vero e proprio genere musicale a cui si accostarono grandi artisti e compositori tra i quali anche il grande Stravinskij.

"Mi noche triste" fu tra i primi successi interpretati da Gardel e da quel momento il tango cominciò ad appropiarsi di contenuti più importanti e divenne molto più popolare.

Carlos Gardel (1890 - 1935) considerato la leggenda del tango, cresce tra i quartieri più poveri di Buenos Aires dove impara molto presto ad interpretare il tango che ben si adatta alla sua particolare voce.

Tanta gavetta nei bar e nei locali più malfamati lo temprano alla vita dura che gli permette di non mollare fino al fatidico incontro con Josè Razzano e da qui l'uscita nel 1917 della canzone" Mi noche triste" che li porterà al successo discografico.

Sono gli anni '20 Gardel diventa il principale divulgatore del tango - canzone, in Europa le sue tournées sono un successo dietro l'altro ed arriva finalmente il grande successo di "Caminito" la canzone simbolo del tango moderno.

Caminito prende il nome da una strada nel quartiere popolare italiano del Boca a Buenos Aires. Nel 1926 Gardel prende il via alla carriera di solista ed incontra il cinema che lo aspetta a braccia aperte.

Diventa quindi contemporaneamente compositore ed attore raggiungendo una fama mondiale.
I suoi film diventano altrettanti successi popolari tra i quali "El tango de Broadaway" e il film" El dia que me queiras".
Muore in Colombia di ritorno da una tournée, improvvisamente a 45 anni.
L'Argentina e il mondo perdono uno dei loro idoli più amati.
Da allora il popolo argentino ne celebra il mito e la grandezza.

venerdì 20 luglio 2007

Chiuso per razzismo

Due mesi di chiusura e l'equivalente di 50 mila euro di multa.
Questa la punizione per i proprietari del ristorante Café del Mar, Miraflores, provincia di Lima, Perù.
La loro colpa: essere razzista.
È la prima volta che in Perù accade una cosa simile. L'elite bianca va da sempre spadroneggiando in un paese a maggioranza indigena e discriminare chi ha la pelle scura è un modus vivendi. Ma qualcosa sta cambiando.
La festa è finita.

Pieni di soldi e di autostima, i bianchi tirano le fila dell'economia peruviana e si sono ritagliati angoli di lusso off-limits in ogni parte del paese.
Dall'altra parte, la massa di cittadini, indios o meticci, costretti al limite della soglia di povertà e senza prospettive, se non quella di emigrare e spedire le rimesse alla famiglia.
Quasi la metà dei peruviani vive sotto la soglia di povertà, ossia con meno di due dollari al giorno.
Di questi, cinque milioni su una popolazione di 28, vivono in situazioni drammatiche, con meno di 30 dollari al mese.

Le ultime elezioni, che hanno visto il populista Hollanta Humala, indigeno per gli indigeni, spopolare quasi fino a far crollare l'egemonia dei soliti noti, la dice lunga sullo stato di salute del paese.
Per questo, oltre a investire somme da capogiro nella lotta alla fame e alla povertà, il presidente Alan Garcia ha deciso di cavalcare la linea inaugurata dal suo predecessore nel 2004, ossia combattere il razzismo a suon di leggi.

Dalle multe salate, il Congresso è passato pochi mesi fa a imporre persino il carcere per tutti coloro che verranno condannati per discriminazione razziale.
Le disuguaglianze sociali ed economiche non solo intorpidiscono lo sviluppo del Perù, ma minacciano il posto al sole di chi in questa situazione ci ha sempre sguazzato.
Da qui una reazione a 360 gradi.

Da una parte, la decisione, adottata un mese fa, di inaugurare due metodi per combattere la povertà endemica: trasferire ai governi regionali e locali 16 milioni di soles (circa 4 mila milioni di euro) da investire in infrastrutture e in aiuti sociali, e inaugurare il Programma Crecer (Crescere), che unito a quello minerario di solidarietà con il popolo lanciato a dicembre, interverrà su 3milioni di persone, di cui un terzo bambini.
Dall'altra, l'inasprimento delle pene per i razzisti e così la chiusura del Café del Mar.
Per molti difensori dei diritti umani, la chiusura del ristorante è un passo simbolico importante nella battaglia al razzismo e alla discriminazione economica.

Wilfredo Ardito, strenuo sostenitore delle lotte sociali del suo paese, ha dichiarato alla Bbc: “Si tratta di una sanzione simbolica.
E' la prima volta che si chiude un locale per la sua selezione razziale della clientela, e lo consideriamo un vero passo avanti”.

Enrosadira

Val di Fassa al tramonto: uno spettacolo mozzafiato ed indimenticabile, con i picchi delle montagne circostanti che si ammantano di una veste rosata, con le vette che d'un tratto si trasformano in un magico giardino di rose, dal fascino suggestivo ed ineguagliabile, che dona all'ambiente un'atmosfera fiabesca, fatta di luci e colori vivi e lucenti, di contrasti cromatici unici e irripetibili.
E' quello che i ladini chiamano Enrosadira, letteralmente il 'diventare di color rosa', un fenomeno straordinario per cui le pareti rocciose delle Dolomiti, data la loro peculiare composizione di carbonato di calcio e magnesio, assumono al calar del sole, in giornate caratterizzate da un'atmosfera particolare, una colorazione rosa che passa gradatamente al viola.
Fin qui le spiegazioni scientifiche.
Ma è forse più suggestivo credere alle leggende dei 'Monti Pallidi', che narrano del magico regno del popolo dei nani governati da Re Laurino che, sul Catinaccio, aveva il suo splendido giardino, tutto coperto di rose.
Il buon Laurino aveva una bellissima figlia, Ladina, che viveva felice nel suo magnifico regno insieme all'amorevole padre.
Un giorno il Principe del Latemar, incuriosito dalla presenza di quelle stupende rose in un luogo tanto aspro e selvaggio si inoltrò nel regno di Laurino, vide Ladina, se ne innamorò perdutamente e decise di rapirla e portarla con sé sul Latemar per farne la sua sposa.
Laurino, disperato per la fuga della figlia, maledisse i fiori che lo avevano tradito rivelando la posizione del suo regno e ordinò che le rose non fiorissero più, né di giorno né di notte.
Ma aveva dimenticato il tramonto.
Ecco perché, ancora oggi, a quell'ora del giorno, sulle splendide montagne della Val di Fassa fiorisce l'Enrosadira.

giovedì 19 luglio 2007

La Grande Muraglia

La Grande Muraglia, nota come una delle sette meraviglie del mondo, è il maggiore progetto difensivo dell’antichità eretto nel periodo di tempo più lungo.
Sulla mappa cinese le sue grandiose mura si estendono per quasi 7000 km.

L’inizio della costruzione della Grande Muraglia si può far risalire al nono secolo a.C.
Per difendersi dagli attacchi delle minoranze etniche che vivevano nel nord, i governanti della Cina centrale collegarono le torri di vedetta con muraglie, formando alla fine la Grande Muraglia.
Nel periodo dei Regni Combattenti (VII-VI sec. a.C.), a causa delle continue lotte e per autodifesa, i regni costruirono grandi muraglie.

Nel 221 a.C., dopo aver unificato la Cina, l’imperatore Qing Shihuang collegò le grandi muraglie costruite dai vari regni, in modo da formare una barriera al confine settentrionale, così da difendersi dagli attacchi delle popolazioni nomadi provenienti dalle praterie della Mongolia Interna.
Allora la Grande Muraglia superava ormai i 5000 km.
Dopo la dinastia Qin, la dinastia Han prolungò la Grande Muraglia a 10.000 km.

In oltre 2000 anni di storia, i governanti di ogni periodo hanno costruito in varie dimensioni la Grande Muraglia, per una lunghezza totale superiore a 50.000 km, sufficiente a fare un giro completo della terra.

Parlando attualmente della Grande Muraglia, si indica di solito la Grande Muraglia costruita al tempo della dinastia Ming (1368-1644).
La Grande Muraglia inizia ad ovest dal Passo di Jiayuguan, nella provincia del Gansu, raggiungendo ad est il fiume Yalujiang, nella provincia del Liaoning, attraversando 9 province, città e regioni autonome, con una lunghezza di 7300 km.

Come un’ opera difensiva, la Grande Muraglia è stata costruita seguendo i pendii dei monti, attraversando deserti, praterie e paludi, con una struttura molto complessa.
Secondo la situazione del terreno, i costruttori hanno adottato diverse strutture speciali, il che dimostra l’intelligenza degli antenati della nazione cinese.

La Grande Muraglia è realizzata all’esterno con grandi mattoni e lastre di pietra, mentre all’interno si trova della terra dell’altopiano del loess e pietre frantumate.
Ha un'altezza media di circa 10 m, una larghezza di 6,5 m alla base e 5,5 m alla sommità, e sulla cima possono passare 4 cavalli affiancati, facilitando il trasporto delle truppe, del cibo e delle armi.
All’interno della mura ci sono scale di accesso di pietra, che faciltano la salita e la discesa.
Ad una certa distanza si trovano fortini e torri di segnalazione.
I fortini servivano come deposito di armi e cibo e per il riposo dei soldati, riparandoli anche in caso di incursioni nemiche, mentre dalle torri si potevano fare segnazioni, trasmettendo informazioni in tutto il paese.

Attualmente la funzione militare è ormai venuta meno, tuttavia la sua particolare bellezza architettonica non finisce di stupire.
La bellezza della Grande Muraglia è maestosa, risoluta e grezza.
Le alte mura lunghe diecimila li (5000 km), serpeggianti lungo i monti, ne delineano il chiaro profilo, come un drago che danza maestoso nell’aria; vista da vicino, la grandiosa Grande Muraglia, con le mura in movimento, le alte piattaforme e le torri di segnalazione, forma un meraviglioso dipinto con punti, linee e piani in movimento, ricco di un grande fascino artistico.

La Grande Muraglia è dotata di un grande significato culturale e storico e di un forte valore turistico.
In Cina si dice che chi non sale sulla Grande Muraglia non è un vero uomo.
Tutti i turisti cinesi e stranieri considerano la visita alla Grande Muraglia un onore, in modo particolare i leader stranieri.

Alcuni tratti della Grande Muraglia ben conservati, come Badaling, Simatai, Mutianyu, Shanghaiguan, chiamato “il primo passo del mondo”, e Jiayuguan, nella provincia del Gansu, all’estremità occidentale, costituiscono famosi siti turistici visitati ogni anno da un gran flusso di appassionati.

La Grande Muraglia concentra l’intelligenza, il sangue e il sudore di centinaia di migliaia di antichi cinesi; dopo migliaia di anni, rimane ferma nella sua imponenza.
La sua maestosità ed eterno incantesimo sono diventati il simbolo della continuità di generazione in generazione della nazione cinese e del suo spirito.
Nel 1987 “il simbolo della nazione cinese” è stato inserito nella lista del Patrimonio Mondiale.

mercoledì 18 luglio 2007

Srebrenica 11/07/1995... Don't forget!!!

Il massacro di Srebrenica fu un genocidio e crimine di guerra, consistito nel massacro di migliaia di musulmani bosniaci nel luglio 1995 da parte delle truppe serbo-bosniache cristiane guidate dal generale Ratko Mladić nella zona protetta di Srebrenica che si trovava al momento sotto la tutela delle Nazioni Unite.

È considerato uno dei più sanguinosi stermini di massa avvenuti in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale: secondo fonti ufficiali le vittime del massacro furono circa 7.800, sebbene alcune associazioni per gli scomparsi e le famiglie delle vittime affermino che furono oltre 10.000.

Si tratta del più grave massacro avvenuto in Europa, dopo la Seconda Guerra Mondiale.

I terribili fatti avvenuti a Srebrenica in quei giorni sono considerati tra i più orribili e controversi della storia europea recente e diedero una svolta decisiva al successivo andamento della guerra in Jugoslavia.

Il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY) istituito presso le Nazioni Unite ha accusato, alla luce dei fatti di Srebrenica, Mladić e altri ufficiali serbi di diversi crimini di guerra tra cui il genocidio, la persecuzione e la deportazione.

Gran parte di coloro cui è stata attribuita la principale responsabilità della strage, siano essi militari o uomini politici, è tuttora latitante.

martedì 17 luglio 2007

Le sette meraviglie del mondo moderno

Le Sette Meraviglie del mondo moderno sono sette opere architettoniche che idealmente richiamano le sette meraviglie del mondo proposte da Filone di Bisanzio nel II secolo a.C..

Il concorso è stato organizzato da una società (a scopo di lucro) svizzera chiamata "New Open World Corporation" (NOWC).
L'iniziativa non è in alcun modo legata all'UNESCO.

Durante le Olimpiadi di Sydney 2000, lo svizzero-canadese Bernard Weber lanciò un referendum mondiale via internet per determinare le "Sette meraviglie del mondo moderno" fra 17 opere architettoniche.
L'iniziativa raccolse da subito un enorme successo.

La lista delle 17 opere candidate - in seguito a notevoli pressioni delle opinioni pubbliche dei Paesi di tutto il mondo - aumentò fino a superare il numero di 150, mentre la chiusura del sondaggio venne ripetutamente posticipata.

A partire dal 2004, i voti sono potuti pervenire anche via telefono o (in alcuni Paesi) via SMS. Alle Olimpiadi di Atene 2004 venne resa nota la nuova strutturazione dell'iniziativa.
La prima fase della votazione, che comprendeva le 17 opere iniziali e le opere successivamente inserite, terminava il 24 dicembre 2005.
Le prime 77 opere in ordine di voti furono così sottoposte al vaglio di sette giudici internazionali (fra cui l'ex presidente dell'UNESCO Federico Mayor Zaragoza).

Tra le 77 candidate erano tre le costruzioni presenti in Italia: il Colosseo (4° più votato), la torre di Pisa (7° più votata), il palazzo Ducale di Venezia (26°); nella lista delle candidate erano presenti e classificate come costruzioni italiane ("Rome, Italy") anche la Basilica di San Pietro (61°) e la Cappella Sistina (69°), che tuttavia sorgono sul suolo della Città del Vaticano.
Nella lista delle 21 finaliste, però, era presente solo il Colosseo.

Il 1° gennaio 2006, i sette giudici resero note le 21 opere "finaliste" (fra cui l'unica antica meraviglia ancora esistente, le Piramidi di Giza, in seguito esclusa dalla votazione e nominata "Candidata onoraria").
La scelta ufficiale delle Sette Meraviglie del Mondo è avvenuta a Lisbona il 7 luglio 2007.

Grande muraglia cinese Cina

Il sito archeologico di Petra Giordania

Il Cristo redentore Rio de Janeiro, Brasile

La città perduta di Machu Picchu Cuzco, Perù

Il complesso di Chichén Itzá Yucatan, Messico

Il Colosseo Roma, Italia


Il Taj Mahal Agra, India

L'evento è principalmente a scopo di lucro, poiché le selezioni erano svolte mediante voti gratuiti e a pagamento, via telefono o via internet.
Su tali selezioni i primi voti erano gratuiti e riservati a membri registrati, i quali potevano successivamente guadagnare voti aggiuntivi da usare (per votare anche più volte lo stesso monumento), mediante pagamento di una somma alla NOWC.
In aggiunta la NOWC si finanzia con donazioni private, vendita di prodotti (cappellini, maglie, ecc.) e con i ricavati sui diritti televisivi.
Inoltre la stessa società promotrice non è classificata come "no-profit" o fondazione.

La società che ha curato il concorso, ha risposto alle critiche annunciando che impiegherà metà del denaro ricavato in questi anni per finanziare diverse opere di restauro, tra cui quella per la ricostruzione delle statue dei Buddha di Bamiyan in Afghanistan.

Il berimbao

Il berimbao o berimbau è uno strumento musicale a percussione di origine africana, diffusosi in Brasile in seguito all'importazione degli schiavi africani durante il colonialismo.

Oggi è parte della tradizione della musica latinoamericana, e in particolare della capoeira.

Il berimbao è composto da un arco di legno che tende una corda metallica e fissato a una zucca cava (detta cabaca) che funge da cassa di risonanza.

La corda (detta arame) viene percossa con una bacchetta di legno (vareta), tenuta con una mano (di solito la mano destra), mentre la mano sinistra regge lo strumento in posizione verticale (con l'arco rivolto verso il corpo del suonatore); allontanando e avvicinando la zucca al corpo, il suonatore può amplificare o attutire il suono.


Una moneta il dobrao (o una pietra levigata) tenuta fra l'indice e il pollice della mano sinistra viene accostata alla corda per variarne l'ampiezza di vibrazione.

Si possono distinguere tre tipi di berimbau: "viola", "medio" e "gunga".

Quest'ultimo, il più grande dei tre, viene spesso considerato strumento "sacro", che può essere suonato solo da un musicista particolarmente importante (per esempio un maestro) o da chi riceva esplicitamente dal maestro il permesso di usarlo.

lunedì 16 luglio 2007

En mi casa, mi pueblo, me conocen como Limin, pero en todo el mundo como Rigoberta Menchú Tum

Rigoberta Menchú Tum è nata a Chimel, in Guatemala, il 9 gennaio 1959, ha ricevuto nel 1992 il Premio Nobel per la Pace, datole "in riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene".

Il premio le è stato conferito anche per la sua biografia del 1987, Mi chiamo Rigoberta Menchú, raccolta dall'antropologa Elisabeth Burgos.
I suoi detrattori sostengono che il libro contiene molti fatti inventati.
I suoi difensori sostengono che qualsiasi eventuale invenzione passa in secondo piano rispetto all'estrema importanza del suo racconto della soppressione guatemalteca del popolo indio, finanziata dagli Stati Uniti.

La Menchú sostiene che iniziò a lavorare come bracciante agricola migrante all'età di cinque anni, in condizioni che causarono la morte dei suoi fratelli ed amici.
Da adulta, si unì a membri della sua famiglia in azioni contro i militari per i loro abusi dei diritti umani.
La violenza la costrinse all'esilio nel 1981.
La Menchú appartiene al gruppo etnico indigeno dei Maya Quiché.

Nel 1991 prese parte alla stesura da parte delle Nazioni Unite di una dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni.
Rigoberta Menchú è ambasciatrice dell'onu ed è tornata in Guatemala per lavorare al cambiamento del paese.

Ha inoltre cercato, nel 1999, di far processare in un tribunale spagnolo l'ex dittatore militare e mancato candidato presidenziale 2003, Efraín Ríos Montt, per crimini commessi contro cittadini spagnoli; tali tentativi sono stati comunque senza esito.
In aggiunta alla morte di cittadini spagnoli, le accuse più gravi comprendono il genocidio contro la popolazione Maya del Guatemala.

Nel 2002 Rigoberta Menchú Tum è stata insignita della cittadinanza onoraria di Caorle (VE) nell'ambito dell'iniziativa culturale “Pensando al sud del mondo – l’America Latina”.
Nel 2007, in occasione delle elezioni presidenziali del 9 settembre, dovrebbe candidarsi a capo della sinistra.
In caso di vittoria, sarà la prima donna alla guida del governo del suo paese.

Il lago dell'arcobaleno

Nel lago di Carezza un tempo viveva una bellissima sirena.

Spesso la si vedeva seduta sulla riva, mentre intrecciava i capelli, cantando.

Lo stregone di Masarè udì il suo canto e se ne innamorò, ma tutti i tentativi di conquistare la bella fallirono.

Allora lo stregone pregò un’amica, la strega Langwerda, di aiutarlo.

Questa gli consigliò di travestirsi da mercante di gioielli e, teso un arcobaleno dal Catinaccio al Latemar, di recarsi al lago di Carezza per rapire la sirena.

Questa fu affascinata dalla vista dell’arcobaleno e delle tante pietre preziose, ma quando scorse il mago, che si era scordato di travestirsi, si immerse nel lago e non comparve mai più.

Nella sua infinita stizza e pena d’amore, lo stregone afferrò l’arcobaleno, lo tirò giù dal cielo e, spezzatolo, ne gettò i frantumi nel lago insieme ai gioielli.

Ancora oggi il lago riflette i colori dell’ arcobaleno, tanto da essere chiamato “lec de ergobando”, il lago dell’ arcobaleno.

domenica 15 luglio 2007

Un legame che costruisce il futuro

Nel Sud del mondo 150 milioni di bambini soffrono di malnutrizione, 6000 ogni giorno contraggono l'HIV/AIDS, oltre 120 milioni non possono andare a scuola e migliaia sono vittime di sfruttamento o violenze.
Questa situazione può cambiare, attraverso l'impegno di ciascuno di noi.
L'adozione a distanza è uno strumento per rispondere ai bisogni più urgenti di un bambino e per costruire il futuro suo, della sua famiglia e della comunità in cui vive.

Con un contributo di pochi centesimi al giorno garantisci al bambino cibo, acqua, salute, istruzione e sicurezza.
Attraverso aggiornamenti periodici potrai seguire da vicino la crescita e i progressi del bambino adottato a distanza.


COOPI - Cooperazione Internazionale è un'organizzazione non governativa italiana laica e indipendente fondata nel 1965.

In 40 anni di lavoro hanno realizzato oltre 600 progetti di sviluppo e interventi di emergenza in 50 paesi nel Sud del mondo, coinvolgendo 30 mila operatori locali e assicurando un beneficio diretto a 50 milioni di persone.
Aiuta i bambini nei paesi più poveri del mondo, le loro famiglie, le loro comunità.