mercoledì 4 giugno 2008

Django Reinhardt

Jean Baptiste "Django" Reinhardt (23 gennaio 1910 – 16 maggio 1953) era un chitarrista jazz nato a Liberchies in Belgio da una famiglia di zingari. Dopo un lungo girovagare in varie nazioni europee e nordafricane, la sua carovana si fermò alla periferia di Parigi, che Reinhardt ebbe come scenario per quasi tutta la sua carriera.
Quando aveva solo diciotto anni, Reinhardt, il quale aveva già iniziato una carriera da apprezzato banjoista, subì un grave incidente: un incendio divampato di notte nella sua roulotte gli causò l'atrofizzazione dell'anulare e del mignolo della mano sinistra.

Questo incidente era destinato a cambiare la sua vita e la storia stessa della chitarra jazz. Infatti, a causa della menomazione alla mano sinistra, Reinhardt dovette abbandonare il banjo e cominciò a suonare una chitarra che gli era stata regalata, meno pesante e meno ruvida. Nonostante le dita atrofizzate, o forse proprio grazie a tale limitazione, egli sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria e del tutto particolare che ancora oggi lascia di stucco e suscita ammirazione per la perizia virtuosistica, la vitalità e l'originalità espressiva. In breve tempo era già in attività con diverse orchestre che giravano la Francia.

A metà degli anni Trenta, Reinhardt e il violinista Stéphane Grappelli formarono un quintetto di soli strumenti a corda che divenne presto famoso, grazie anche all'appoggio dell'Hot Club de France, una delle prime associazioni di promozione del jazz in Europa. Sull'onda di questo successo Reinhardt si rivelò come uno dei musicisti europei più talentuosi nel jazz tradizionale. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, venne invitato negli Stati Uniti da Duke Ellington, che lo presentò come ospite in alcuni concerti, l'ultimo dei quali alla Carnegie Hall di New York.

Con l'avvento del bebop, Reinhardt diede ulteriore prova di maturità ed originalità artistica incidendo dei brani memorabili con la chitarra elettrica: la poesia Manouche miscelata alle sonorità più moderne fanno di tali assoli una delle pagine più originali del jazz dell'epoca. Reinhardt rallentò sensibilmente la sua attività durante i suoi ultimi anni, forse anche per le cattive condizioni di salute; la sua decisione di non consultare medici, per paura delle iniezioni, gli costò la vita.

Reinhardt è ricordato sia come un eccezionale virtuoso del proprio strumento, sia come compositore fertilissimo. Inoltre, numerose leggende nell'ambiente jazzistico ne descrivevano la particolarissima forma mentis, in parte derivata dalle sue origini zingaresche.

Tra i suoi brani più celebri: Minor Swing, Tears, Nagasaki, Belleville e soprattutto Nuages
Molti sono i chitarristi moderni che si ispirano direttamente a Reinhardt e che hanno formato una vera e propria scuola di chitarra gipsy jazz: Bireli Lagrene, Angelo Debarre, Stochelo Rosenberg, Dario Pinelli, Romane, Martin Taylor, sono solo alcuni dei nomi più famosi.

Subito dopo l'incendio del caravan, Django Reinhardt, ancora giovanissimo, rifiutò fermamente l'amputazione di mano sinistra e piede destro e, superando fortunosamente il rischio di cancrena che gli si prospettava (lo stesso spirito che anni dopo gli costerà la vita), passò la lunga convalescenza a letto ad inventare una tecnica che gli consentisse di suonare la chitarra con l'uso di sole due dita della mano sinistra (indice e medio) con il pollice che afferrava il manico. Django impiegò degli anni per imparare a portare sopra la tastiera anulare e mignolo, definitivamente uniti e semi-atrofizzati, per integrare le parti ritmiche sulle prime due corde. Questa limitazione è però considerata un prodigio, se si pensa che la sua mano si salvò grazie ad un'operazione chirurgica disperata, con la terribile anestesia al cloroformio (di cui più tardi morirà il grande banjoista Eddie Lang), ed una rieducazione autoimposta durante la convalescenza ospedaliera di diciotto mesi.

Secondo la tradizione musicale questo incidente porterà allo sviluppo da parte sua di una tecnica che oggi è padroneggiata da qualunque vero chitarrista manouche: la "rullata di gamma cromatica" con un solo dito. Questa tecnica prevede l'esecuzione di una scala cromatica (in cui vengono suonate tutte le note in ordine ascendente o discendente) con lo stesso dito, trascinato lungo la tastiera in perfetta sincronia con la pizzicata del plettro.

L'originalissimo stile di Django Reinhardt, acclamato da musicisti di tutti i generi come geniale ed innovativo, si sviluppò in realtà in una vita di immersione fra i più grandi della tradizione gitana, e fu contaminato dalla sua vastissima cultura in musica classica. Se è vero che egli fu il primo gitano a conoscere la gloria riservata ai musicisti più popolari, ed il primo ad uscire dalla culla jazz francese con l'Hot Club de France di Stéphane Grappelli, era nel microcosmo gitano uno dei vari meritevoli discepoli di musicisti storici. È anche grazie alla notorietà raggiunta che tutt'oggi viene considerato un eroe dai gitani.

L'improvvisazione, anche sopra brani sentiti per la prima volta, è la base dello spirito musicale dei Manouche, e proprio l'improvvisazione era una delle caratteristiche che contribuivano a shockare anche i professionisti che assistevano alle sue performances. Stéphane Grappelli, un violinista innovativo, protagonista della rivoluzione '20 da musette a ragtime, si innamorò di quello spirito che vedeva tutti gli strumenti come potenzialmente solisti e talvolta capricciosi. Un giorno, durante una jam session (sessione improvvisata), gli fu chiesto se pensava che Eddie South (famoso violinista) avesse studiato musica. Stéphane Grappelli rispose: "Si. Troppo". Sembra strano per chi per merito di uno studio continuo era in grado di eseguire brani di tutti i generi, e per una persona dall'apparenza così raffinata; eppure anch'egli aveva vissuto la vita da errante, suonando per la strada e nei cortili dei ristoranti, e debuttando nel trambusto del foxtrot. Si possono aggiungere due ulteriori note per cercare di comprendere tale affinità: Django, pur essendo in grado di capire, smontare e trasformare ogni musica, non solo non sapeva scrivere o leggere un semplice spartito, ma era anche completamente analfabeta. Essendo molto vanitoso, chiese che Stéphane Grappelli gli insegnasse a scrivere il suo nome, in modo da poter firmare gli autografi.

Un giorno, mentre il quintetto giocava a carte, Django e Joseph (uno dei suoi fratelli, con lui nell'Hot Club) ascoltavano Stéphane Grappelli, il secondo chitarrista ritmico Roger Chaput ed il contrabbassista Louis Vola discutere di scale musicali. Dopo un certo tempo Django si rivolse a Grappelli candidamente, chiedendogli con curiosità: "Cos'è una scala?" Nonostante questa apparente distanza, Stéphane Grappelli dichiarerà più tardi che ascoltare Art Tatum (uno dei più noti pianisti jazz di tutti i tempi: è tra l'altro ricordato per il suo incredibile virtuosismo) lo aiutò a suonare con Django ampliando la sua prospettiva.

L'esperienza del Quintetto dell'Hot Club nacque nell'ambiente musicale francese, dove in quegli anni si trovavano indifferentemente musicisti di formazione classica, musicisti neri emigrati dall'America e zingari di tutta l'Europa (tzigani, gitani, manouche...). Lo stesso succedeva in alcune zone degli Stati Uniti, come New Orleans, in cui il Quintetto trovò una seconda casa. Quello che forse è il più noto banjoista americano dell'epoca, Eddie Lang, era in realtà italiano (si chiamava Salvatore Massaro). Secondo la critica musicale, Django non è che uno dei "padri" del jazz, che all'epoca aveva estimatori e collaboratori del calibro di Delauny, Ravel e Debussy.

La nota chitarra di brevetto Selmer e progetto Maccaferri, tradizionalmente associata alla figura del musicista belga (e oggi la prediletta dei chitarristi manouche) non è sempre la chitarra che si sente nelle esecuzioni registrate. Nei suoi anni giovanili, ed ancora nei primi anni di collaborazione con Grappelli, precedenti ai trionfi dello swing, Reinhardt suonava una vecchia chitarra classica italiana su cui montava corde metalliche. Era già tanto per gli anni in cui i musicisti di strada solitamente suonavano chitarre e violini costruiti con scatole di sigari. Oggi, a parte riproduzioni di alcune fabbriche americane e cinesi, l'eredità della costruzione questo originalissimo e magico strumento è lasciato nelle mani esperte di liutai in prevalenza italiani e francesi come Antoine jobert, Mario Artese, Eugene Dellera.

Nella cultura gitana, le persone sono designate unicamente dal soprannome. Oggi si conoscono Bireli Lagrene, Stochelo Rosenberg, Tchavolo Schmitt, ma questo è solo un effetto della popolarità raggiunta da questi chitarristi. Nell'ambiente gitano nessuno parla mai di "Django Reinhardt", ma solo di "Django". Nelle più vecchie registrazioni il suo nome era indifferentemente scritto come "Django" o "Jeangot", la cui lettura è molto simile per un francese (infatti leggendosi la "j" come una g molto dolce, tipica del francese, "dj" si legge quasi come una "g" dolce italiana), e mai si trova "Jean Baptiste Reinhardt". Secondo Babik Reinhardt, per capire l'interazione di un personaggio come lui con l'ambiente moderno, ricco e colto dei locali alla moda dell'epoca, bisogna escludere il concetto di adeguamento, di snaturamento, e pensare più alla capacità che mostrano da sempre i Rom di convivere con culture completamente diverse dalla loro, semplicemente ricavandoci una nicchia per sè. Woody Allen, nel suo film Accordi e disaccordi (titolo originale "Sweet and Lowdown"), fece volutamente un ritratto del protagonista in perfetto accordo con la biografia di Reinhardt, inventandone la vita e dicendo che era secondo solo a Django.

Django Reinhardt è conosciuto anche per dei modesti tentativi nel campo della pittura, ma la sua produzione è molto poco nota.
Alcuni brani di Reinhardt sono stati utilizzati come colonna sonora del videogioco Mafia, ambientato negli anni '30.
Nel film "Chocolat" di Lasse Hallström vi sono vari brani di D.Reinhardt, tra cui il tema centrale "Minor Swing", riscritto da Rachel Portman (nomination all'Oscar 2001 per la colonna sonora) ed eseguito dal protagonista Johnny Depp.

lunedì 2 giugno 2008

Festa della Repubblica italiana

La Festa della Repubblica italiana è la festa nazionale italiana celebrata ogni 2 giugno. Dopo alcuni decenni di abbandono, fu resa nuovamente giorno festivo nel 2000 su iniziativa del secondo governo Amato per impulso, principalmente, dell'allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
Di fatto è la principale festa nazionale civile italiana.

In questa data si ricorda il referendum istituzionale indetto a suffragio universale il 2 e il 3 giugno 1946 con il quale gli italiani venivano chiamati alle urne per esprimersi su quale forma di governo, monarchia o repubblica, dare al Paese, in seguito alla caduta del fascismo. Dopo 85 anni di regno, con 12.718.641 voti contro 10.718.502 l'Italia diventava repubblica e i monarchi di casa Savoia venivano esiliati.

Il 2 giugno celebra la nascita della nazione, in maniera simile al 14 luglio francese (anniversario della Presa della Bastiglia) e al 4 luglio statunitense (giorno in cui nel 1776 venne firmata la dichiarazione d'indipendenza).

In tutto il mondo le ambasciate italiane tengono un festeggiamento cui sono invitati i Capi di Stato del Paese ospitante. Da tutto il mondo arrivano al Presidente della Repubblica italiana gli auguri degli altri capi di Stato e speciali cerimonie ufficiali si tengono in Italia.
Prima della fondazione della Repubblica, la festa nazionale italiana era la prima domenica di giugno, anniversario della concessione dello Statuto Albertino.

Nel giugno del 1948 per la prima volta Via dei Fori Imperiali a Roma ospitava la parata militare in onore della Repubblica. L'anno seguente, con l'ingresso dell'Italia nella NATO, se ne svolsero dieci in contemporanea in tutto il Paese mentre nel 1950 la parata fu inserita per la prima volta nel protocollo delle celebrazioni ufficiali.

Attualmente il cerimoniale prevede la deposizione di una corona d'alloro al Milite Ignoto presso l'Altare della Patria a Roma e una parata militare alla presenza delle più alte cariche dello Stato.
Alla parata militare e durante la deposizione della corona d'alloro presso il Milite Ignoto, prendono parte tutte le Forze Armate, tutte le Forze di Polizia della Repubblica ed il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa Italiana.
Nel 2005, l'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ordinò che defilassero anche il Corpo di Polizia Municipale di Roma ed il personale civile della Protezione Civile. Prendono inoltre parte alla parata militare alcune delegazioni militari dell'ONU, della NATO, dell'Unione Europea e rappresentanze di reparti multinazionali che presentano una componente italiana.
Dalla sua istituzione sino alla sua temporanea abolizione, la parata militare poteva contare sulla sfilata di maggiore personale. Dopo la re-introduzione l'organico defilante fu ridotto notevolmente e nel 2006 venne praticamente eliminata la presenza di mezzi terrestri ed aerei per ragioni di bilancio.

La cerimonia prosegue nel pomeriggio con l'apertura al pubblico dei giardini del palazzo del Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica Italiana, con esecuzioni musicali da parte dei complessi bandistici dell'Esercito Italiano, della Marina Militare Italiana, dell'Aeronautica Militare Italiana, dell'Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, del Corpo di Polizia Penitenziaria e del Corpo Forestale dello Stato.