giovedì 29 novembre 2007

Aiutiamo Diego!

Diego è un neonato nato prematuro.

La data presunta del parto era il 4 novembre, ma purtroppo la madre ha avuto una seria minaccia di aborto il 21 giugno.

Angela è stata immediatamente ricoverata, il parto era praticamente iniziato, è stata sottoposta a tutte le cure del caso, per fermare le contrazioni e tentare di salvare il bambino.

Dopo circa un mese di immobilità in ospedale non si è potuto più far niente per evitare la nascita del bimbo.

Diego è nato il 22 luglio 2007, dopo sole circa 26 settimane di gestazione.

Alla nascita pesava 660 gr. ed è stato sottoposto immediatamente a terapia intensiva; Diego non poteva respirare da solo nè alimentarsi e le speranze di vita erano poche.

Nelle settimane successive ha dovuto affrontare una serie infinita di problemi, tra cui una crisi respiratoria gravissima (era stato dato per spacciato), un intervento al cuore, due agli occhi, oltre ad una serie infinita di esami, cure, trattamenti di ogni tipo.

Purtroppo l'ossigeno che lo ha salvato dalla crisi respiratoria ha anche causato seri danni.

Finalmente ora Diego sta meglio, si alimenta e respira da solo e pesa quasi due kg.

Il problema ora non è salvargli la vita, ma salvare la qualità della sua vita.

Diego rischia la cecità .

Ai genitori è stata prospettata un'unica speranza: un intervento chirurgico d'avanguardia, attualmente possibile solo negli Stati Uniti, da effettuare assolutamente entro al massimo un mese, prima che la situazione diventi irreversibile.

Angela, la madre, è impegnata giorno e notte nell'accudire il piccolo, ancora più bisognoso dei neonati a termine, ed il padre, Daniele, sta facendo tutto il possibile per l'organizzazione del viaggio a Detroit, le pratiche sanitarie, i passaporti, i documenti, i contatti con il personale medico dell'ospedale di Ferrara che ha seguito Diego fino ad oggi, ecc.

Non sarà facile e soprattutto c'è poco tempo!

Stiamo cercando ora di aiutare i genitori del piccolo Diego a trovare i soldi necessari all'intervento.

La cifra esatta la sapremo tra qualche giorno, ma pare che si aggirerà intorno a 60.000,00 Euro.

E' stato aperto un conto corrente postale per permettere a chi lo voglia di fare una donazione di qualunque importo.

Il numero di conto corrente postale per qualsiasi donazione e': 85721371 da intestare a Daniele Spoglianti (il papa') oppure Angela Mengozzi (la mamma).

Vi ho raccontato la storia di Diego.Vi ringrazio di cuore per l'attenzione e per un eventuale donazione.

Di seguito i riferimenti dei genitori qualora vi servissero.

Angela e Daniele Spoglianti
Via Ripa, 148025 Riolo Terme (Ravenna)

martedì 27 novembre 2007

Un ex bambino-soldato nominato Ambasciatore UNICEF

In occasione del 18° anniversario dell'adozione della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia, lo scrittore ed ex bambino-soldato Ishmael Beah è stato nominato Youth Ambassador UNICEF per i bambini colpiti dalla guerra.
La nomina è arrivata dal Direttore generale dell'UNICEF, Ann Veneman, durante una cerimonia alla sede centrale dell'UNICEF di New York.

«Ishmael Beah parla a nome dei bambini e adolescenti che, in tutto il mondo, sono rimasti vittime durante la loro infanzia di violenze, privazioni, e altre violazioni dei loro diritti» ha detto Ann Veneman. «Ishmael rappresenta un eloquente simbolo di speranza per le giovani vittime di violenze, oltre che per coloro che lavorano per smobilitare e reinserire i bambini coinvolti nei conflitti armati.»

«Come bambino soldato, i tuoi diritti sono costantemente violati» racconta Beah, che è stato reclutato con la forza nella suo paese d'origine, la Sierra Leone, quando aveva soli 13 anni.

Due anni dopo, l'UNICEF negoziò con i signori della guerra il rilascio di Beah e di altri piccoli combattenti, inserendolo in un programma di riabilitazione. Alla fine, Beah riuscì a raggiungere New York e terminare gli studi.

Il suo diario d'infanzia, "A Long Way Gone", è diventato un best-seller internazionale e attraverso il libro, conferenze e dibattiti, ha fornito al mondo intero una migliore conoscenza della vita di un bambino soldato.

«Per molti osservatori, un bambino che non ha conosciuto altro che la guerra, un bambino per cui il kalashnikov è stato l'unico modo per sopravvivere e la giungla la migliore comunità che lo abbia accolto, è un bambino perso per sempre per la pace e lo sviluppo. Io contesto questa visione» ha affermato Beah. «Per il bene di questi bambini è essenziale dimostrare che un'altra vita è possibile.»

La nomina di Ishmael Beah coincide con il 18° anniversario della Convenzione sui diritti dell'infanzia, un trattato internazionale creato per prevenire sofferenze come quelle che Beah ha subito.

Oggi è anche il giorno in cui la prima generazione di bambini nati dopo l'adozione della Convenzione ha raggiunto la maggiore età.

La Convenzione, approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU e aperta alla firma e ratifica degli Stati membri il 20 novembre 1989, stabilisce le regole fondamentali per una vita migliore per tutti i bambini, ed è l'accordo sui diritti umani più ratificato al mondo.

I diritti che la Convenzione sancisce includono il diritto alla sopravvivenza, il diritto a essere protetti da influenze dannose, da abusi e sfruttamento, e il diritto a partecipare pienamente alla vita familiare, culturale e sociale.

La Convenzione è diventata una misura universalmente accettata della responsabilità globale in tema di infanzia e uno strumento efficace per promuovere condizioni e circostanze che favoriscano la sopravvivenza e lo sviluppo dei bambini.


domenica 25 novembre 2007

Tutto casa e Chiesa

Barricata nel suo appartamento di via Giulia, dietro Campo de Fiori nel cuore di Roma, Nancy l’ha scampata ancora. L’ufficiale giudiziario che le ha notificato l’ennesimo avviso di sfratto è arrivato da solo, senza la forza pubblica. Le è andata bene. Stasera avrà un tetto sotto il quale dormire. Domani, chissà.
Nancy Elseberg è americana, ha 72 anni e una vita da cantante lirica alle spalle. Da oltre 40 anni vive a Roma, in un piccolo appartamento preso in affitto dal Pontificio Collegio Armeno, proprietario dell’intero stabile di via Giulia. In 40 anni Nancy non ha mai sgarrato. Ogni mese ha versato la somma dovuta. I preti armeni la sfrattano non per morosità, ma per finita locazione. Un appartamento al centro di Roma infatti è un tesoro inestimabile. Vale molto di più dell’affitto pagato ogni mese da Nancy. Per questo i porporati intendono cacciarla. Si chiama speculazione immobiliare.

Solo che stavolta a speculare non è un “palazzinaro” qualsiasi, bensì un ordine religioso che gode, come tutti gli enti ecclesiastici, dello sconto del 50% sull’Ires, la tassa sui redditi degli affitti. Nello stabile di via Giulia Nancy non è l’unica sotto sfratto. Uno degli inquilini, stremato dalle pressioni dei porporati, si è già trasferito. Non ne poteva più dell’incubo dello sfratto. L’unico a non avere problemi coi preti armeni è Roberto Sciò, titolare dell’albergo “Il Pellicano” a Porto Ercole. Singolare coincidenza: due appartamenti al piano terra, dopo anni lasciati sfitti, sono passati da poco all’Hotel “St. George”, a due passi dallo stabile di via Giulia. Una raffica di sfratti vaticani si sta abbattendo sulla capitale. A Roma Santa Sede ed enti ecclesiastici possiedono un palazzo su quattro. Chiese e luoghi di culto, certo. Ma anche alberghi, case d’accoglienza e appartamenti in affitto.

Il valzer degli sfratti è iniziato nel 2000 con la fine dell’equo canone. Oggi nella Capitale sono circa 35.000 le persone che rischiano la casa. Nel 2006 sono stati eseguiti circa 6000 sfratti. Non tutti, ovviamente, riguardano appartamenti del Vaticano. Il 15 ottobre, scaduto il decreto blocca sfratti, è tornato l’incubo. A Nancy è andata bene. Domani tocca a Nadia, invalida, sfidare la roulette russa dello sfratto. Lei vive col marito in un appartamento a ridosso del Colosseo. Il proprietario dell’immobile è il Collegio Maronita “Beata Maria Vergine”. Per cacciare Nadia i Maroniti hanno chiesto l’uso della forza pubblica. Giusto per illustrare che cosa s’intende per carità cristiana.


(Paolo Dimalio)

lunedì 19 novembre 2007

Muhammad Yunus

Muhammad Yunus (in lingua bengalese: Muhammod Iunus) è nato a Chittagong, il 28 giugno 1940. E' un economista e banchiere bengalese.
È ideatore e realizzatore del microcredito, ovvero di un sistema di piccoli prestiti destinati ad imprenditori troppo poveri per ottenere credito dai circuiti bancari tradizionali. Per i suoi sforzi in questo campo ha vinto il premio Nobel per la Pace 2006. Yunus è anche il fondatore della Grameen Bank, di cui è direttore dal 1983.

Yunus consegue la Laurea in Economia presso l’Università di Chittagong (Bangladesh) e in seguito il Dottorato di Ricerca in Economia presso l'Università Vanderbilt di Nashville (Tennessee, U.S.A.) nel 1969. È stato professore di Economia presso la Middle Tennessee State University, U.S.A., dal 1969 al 1972, quindi direttore del Dipartimento di Economia dell’Università di Chittagong (Bangladesh) dal 1972 al 1989.

Verso la metà del 1974 il Bangladesh fu colpito da una violenta inondazione, a cui seguì una grave carestia che causò la morte di centinaia di migliaia di persone. Il paese è periodicamente devastato da calamità naturali e presenta una povertà strutturale in cui il 40% della popolazione non arriva a soddisfare i bisogni alimentari minimi giornalieri. Fu in quest'occasione che Yunus si rese conto di quanto le teorie economiche che egli insegnava fossero lontane dalla realtà. Decise, dunque, di uscire nelle strade per analizzare l’economia di un villaggio rurale nel suo svolgersi quotidiano. La conclusione che egli trasse dall'analisi fu la consapevolezza che la povertà non fosse dovuta all'ignoranza o alla pigrizia delle persone, bensì al carente sostegno da parte delle strutture finanziare del paese. Fu così che Yunus decise di mettere la scienza economica al servizio della lottà alla povertà, inventando il microcredito.

Il suo primo prestito fu di solo 27 dollari USA, che prestò ad un gruppo di donne del villaggio di Jobra (vicino all'Università di Chittagong), che producevano mobili in bambù. Esse erano costrette a vendere i prodotti del loro lavoro a coloro dai quali avevano preso in prestito le materie prime ad un prezzo da essi stabilito. Questo riduceva drasticamente il margine di guadagno di queste donne e le condannava di fatto alla povertà. D'altra parte, le banche tradizionali non erano (e non sono) interessate al finanziamento di progetti tanto piccoli che offrivano basse possibilità di profitto a fronte di rischi elevati. Soprattutto le banche non avevano alcuna intenzione di concedere prestiti a donne, tanto più se non potevano offrire garanzie.

Yunus e i suoi collaboratori cominciarono a battere a piedi centinaia di villaggi del poverissimo Bangladesh, concedendo in prestito pochi dollari alle comunità, somme minime che servivano per attuare iniziative imprenditoriali. Tale intervento ha avviato un circolo virtuoso, con ricadute sull'emancipazione femminile, avendo Yunus fatto leva sulle donne affinché fondassero cooperative che coinvolgessero ampi strati della popolazione.

Il "sistema Yunus" ha provocato un cambiamento di mentalità anche all'interno della Banca Mondiale, che ha cominciato ad avviare progetti simili a quelli della Grameen. Il microcredito è diventato così uno degli strumenti di finanziamento utilizzati in tutto il mondo per promuovere lo sviluppo economico e sociale, diffuso in oltre 100 Stati, dagli Stati Uniti all'Uganda. "In Bangladesh, dove non funziona nulla - disse una volta Yunus - il microcredito funziona come un orologio svizzero".

Nel 1976 Yunus fondò la Grameen Bank, prima banca al mondo ad effettuare prestiti ai più poveri tra i poveri basandosi non già sulla solvibilità, bensì sulla fiducia.
Da allora, la Grameen Bank ha erogato più di 5 miliardi di dollari ad oltre 5 milioni di richiedenti. Per garantirne il rimborso, la banca si serve di gruppi di solidarietà, piccoli gruppi informali destinatari del finanziamento, i cui membri si sostengono vicendevolmente negli sforzi di avanzamento economico individuale ed hanno la responsabilità solidale per il rimborso del prestito.

Con il passare del tempo la Grameen Bank ha realizzato soluzioni diversificate per il finanziamento delle piccole imprese. Oltre al microcredito, la banca offre mutui per la casa e per la realizzazione di moderni sistemi di irrigazione e di pesca, nonché servizi di consulenza nella gestione dei capitali di rischio e, alla stregua di ogni altra banca, di gestione dei risparmi.

Il successo della Grameen ha ispirato numerosi altri esperimenti del genere nei paesi in via di sviluppo e in numerose economie avanzate. Il modello del microcredito ideato dalla Grameen è stato applicato in oltre 20 Paesi in Via di Sviluppo: molti di questi progetti, come avviene per la Grameen stessa, sono imperniati soprattutto intorno al finanziamento di imprese femminili. Più del 90% dei prestiti della Grameen è infatti destinato alle donne: tale politica è motivata dall'idea che i profitti realizzati dalle donne siano più frequentemente destinati al sostentamento delle famiglie.

"One day our grandchildren will go to museums to see what poverty was like"

domenica 18 novembre 2007

Torino - 16.11.2007 - La brutta avventura in Italia di una rumena particolare

Laura Vasiliu è una giovane attrice rumena che ha colpito la critica internazionale con la sua interpretazione di “Gabita” nel film “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni”, del regista rumeno Cristian Mungiu, Palma D’Oro al Festival di Cannes 2007. Per aver dato vita a una fragile e innocente ragazza incinta e costretta ad abortire al tempo di Ceausescu è stata senz’altro apprezzata dal mondo cinematografico internazionale, visto che attualmente si trova a Torino per girare un film di produzione italiana.

Laura, sostenendo che la sua partecipazione al Festival di Cannes è stata un’esperienza incredibilmente felice per l’accoglienza del pubblico, non rappresenta assolutamente la classica stella cinematografica che si monta la testa dopo il primo successo al box-office. Anche questo fa capire perché la giovane attrice non vuole divulgare un brutto evento accaduto mercoledì, nel buio della notte.
L’attrice, che da tre settimane sta girando un film italiano sulla vita di un’immigrata rumena, la cui uscita nelle sale italiane è prevista per l’anno prossimo, alloggiava in un noto albergo torinese. Intorno alle 2 della notte del 14 novembre, l’attrice è stata violentemente svegliata da un gruppo di carabinieri torinesi che, dopo aver sfondato la porta della camera d’albergo, hanno iniziato a perquisire la stanza in cerca di prove che sostenessero la sua cattura, in quanto ritenuta pericolosa trafficante di minorenni, il tutto per colpa di una semplice somiglianza di cognome. I carabinieri si sono accorti dell’errore solo dopo aver perquisito la stanza, mentre stavano procedendo all’arresto dell’attrice. Solo la testimonianza telefonica dei rappresentanti della casa produttrice del film è riuscita a convincere i carabinieri a verificare ulteriormente l’identità dell’attrice, nonostante avesse contattato la reception dell’albergo, nella speranza, vana, che potessero testimoniare la sua reale identità.

Il Consolato rumeno di Torino ha registrato la brutalità dell’intervento dei carabinieri e ha deciso di avviare un’inchiesta interna, mentre l’attrice ha provveduto a cambiare albergo, continuando le riprese del film. L’attrice non desidera che si crei un altro caso mediatico, rinunciando anche a presentare denuncia contro la caserma dei carabinieri coinvolta nell’incidente. La madre della donna si lamenta dicendo di aver avvertito la figlia di non parlare in rumeno, data l’isteria generale che affiora in seguito agli ultimi fatti di cronaca che coinvolgono cittadini rumeni.
Per fortuna, stavolta c’era la casa di produzione a garantire l’integrità della donna e il Console rumeno a proteggere i suoi interessi, perché era un’attrice nota, almeno al Consolato. Ma cosa sarebbe successo se fosse stato un semplice lavoratore senza rapporti con il consolato e senza conoscenze “importanti” che facessero da garanzia? Il problema di fondo non è il fatto che i carabinieri abbiano agito sul sospetto di una trafficante di minori, ma il modo nel quale hanno scelto di condurre l’operazione, e soprattutto la serietà delle indagini, della ricerca e delle verifiche svolte prima dell’arresto.
Purtroppo notizie come questa sommergono la stampa rumena, creando timore e avversione verso gli italiani e cementando la percezione di xenofobia violenta degli italiani, visti sempre pronti a farsi giustizia anche dove non ce n'è bisogno. Speriamo che questi casi non diventino un portabandiera per rappresaglie in nome di una giustizia sbagliata intenta a ristabilire un falso equilibrio.


(Andreea Mihai)

martedì 13 novembre 2007

4 maggio 1949: un giorno, una storia

Questo giorno rimane alla memoria collettiva come giorno in cui scomparve uno dei motivi di rinascita della nazione Italia : la morte del Grande Torino.

Il Torino era appena andato in Portogallo per disputare un’ amichevole contro lo Sporting Lisbona.
Una partita nata perché il capitano dello Sporting Lisbona era amico di Ventino Mazzola.
Quella partita era la partita di addio al calcio da parte del giocatore portoghese.
Il Torino perde quella partita per 4-3 e Mazzola, pur febbricitante, non volle restare a casa.

Il volo di ritorno appare senza storia.

l’aereo utilizzato per il volo dei giocatori è un FIAT G12.
E’ un trimotore che era nato come aereo da trasporto merci durante gli ultimi mesi prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943. L’armistizio ne blocca la produzione.
Dopo la guerra e soprattutto dopo il trattato di Parigi del 1947 è uno dei pochi aerei che l’Italia può costruire.

Pur essendo un aereo di avanzata costruzione (l’accuratezza aerodinamica delle forme lo fa notare e la gondola del motore centrale ben raccordata con l’aereo) non dispone di radar per il volo cieco.
Questa sarà un grave mancanza che verrà pesantemente scontata.
L’aereo vola.

E’ a Barcellona. Fa uno scalo tecnico.

Allora gli aerei erano un po’ come le navi. Facevano frequentemente scalo per rifornimento e per controlli tecnici.
Sull’aereo non viene trovato nulla.
L’aeromobile riprende il volo.
A bordo si ride e si scherza.

Tutti sanno che ormai non sono lontani da casa.
C’è solo da sorvolare Genova e poi si torna a casa.
Appena l’aereo sorvola Genova, il primo pilota chiede all’aeroporto di Centocelle (l’aeroporto di Torino) sulle condizioni meteo.
Non vi sono buone notizie meteo per il pilota.

Il tempo è brutto. Vento forte e pioggia a raffiche riducono fortemente la visibilità nella zona.

Nonostante queste avverse condizioni meteo il pilota si avvicina alla città.
Cosa succeda ora non lo si sa bene.
Forse l’altimetro guasto, forse un errore di rotta.
L’aereo non è in zona aeroporto.
Ma dall’aeroporto non lo sanno.

Non c’è un radar. Non sanno che il pilota ha voluto cercare l’aeroporto cittadino piuttosto che cambiare aerodromo e trovarne uno più sicuro almeno sotto l’aspetto meteo.

Pochi minuti dopo le 17.
Un lampo squarcia il cielo oscurato di pioggia.
Un boato fa tremare la città.
Sono le 17.05.

Fiamme divampano dalla basilica di Superga che domina la città dall’alto dei suoi 700 metri sopra una collina.
I primi soccorritori trovano i resti delle valige degli atleti, ma ancora non comprendono cosa sia successo.

Poi un borsone sportivo.
Il colore granata li mette in allarme.
La scritta “A.C. TORINO” gela il sangue nelle loro vene.
Quegli oggetti, quelle valige appartengono a giocatori che sono a loro familiari.
Sono i giocatori della loro città.
E’ il Torino.

Un documento che fuoriesce da una valigia fa capire che non si sbagliano.
E’ la carta d’identità di Valerio Bacigalupo.
Comprendono che il loro amore calcistico, il simbolo della loro città, il segno di rinascita dopo una guerra rovinosa è infranto per sempre.
Un lutto terribile si abbatte sull’Italia.
L’Italia sportiva e non si ferma.
L’intera città di Torino fa atto di presenza ai funerali.
Le bare della squadra attraversano la città, che muta in lacrime, rimane ancora incredula di tale vicenda.
La notizia raggiunge il Portogallo.

Anche lì, come ovvio, la notizia ha clamore soprattutto visto che la squadra italiana aveva giocato nei giorni scorsi l’amichevole contro lo Sporting Lisbona.

Una grande squadra era scomparsa.
La nazionale italiana ne avrebbe pagato lo scotto nel Mondiale di calcio del 1950.
In più la paura di volare dopo tale incidente avrebbe portato la nazionale ad un viaggio in nave verso la sede dei Mondiali, si disputavano in Brasile, della durata di un mese.

In seguito la squadra venne dichiarata ad honorem Campione d’Italia e nacque così il mito del Grande Torino.


(Alessandro Farris)

domenica 11 novembre 2007

Emergency

Emergency è un'associazione italiana indipendente e neutrale.
Offre assistenza medico-chirurgica gratuita e di elevata qualità alle vittime civili delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà.
Emergency promuove una cultura di solidarietà, di pace e di rispetto dei diritti umani.

Emergency si dichiara neutrale rispetto alle parti in causa di qualsiasi conflitto: tutti hanno diritto a cure qualificate e gratuite. E' presente in Cambogia, Afganistan, Iraq, Sierra Leone, Sudan costruendo e gestendo ospedali per i feriti di guerra e per emergenze chirurgiche, centri per la riabilitazione fisica e sociale delle vittime di mine antiuomo e altri traumi di guerra, un centro per la maternità, posti di primo soccorso per il trattamento immediato dei feriti, centri sanitari per l'assistenza medica di base. Ultimo progetto il Centro Salam di cardiochirurgia in Sudan: un centro regionale che fornisce assistenza specializzata a pazienti affetti da malformazioni e patologie cardiache ai pazienti del Sudan e dei 9 paesi confinanti.

Il progetto è stato criticato da più parti per il fatto di costituire un'intervento scarsamente integrato in una realtà in cui mancano prima di tutto le strutture sanitarie di più elementare livello, e dove la cardiologia non costituisce la prima delle priorità. Secondo molti dei critici creare un ospedale di questo tipo costituisce, oltre che uno spreco di investimenti, anche una fonte di ingenti spese di mantenimento future a fronte di risultati marginali nel livello generale di benessere sanitario di questi paesi, dove anche i benefici di cure cardiache di buon livello rischiano di essere vanificati in gran parte da altri tipi di emergenza sanitaria non attualmente affrontati. Secondo la Ong, invece, una struttura di alto livello può aiutare ad innalzare gli standard di tutta l'area: la scienza medica ha sempre fatto progressi dall'alto, impiantando e sviluppando centri di eccellenza in grado di innalzare gli standard generali della sanità, formare personale, sviluppare la ricerca e tutti i servizi connessi. Curiosità, l'impianto di areazione e filtraggio dell'aria della struttura (necessario per la vicinanza al deserto) è interamente alimentato dal campo di pannelli solari più grande del continente, realizzato e ideato dallo staff di Emergency.

Emergency ha portato a termine i suoi programmi in Ruanda, in Eritrea, a Jenin in Palestina e a Medea, in Algeria, in Nicaragua e in Kosovo.
Emergency dichiara di pianificare i propri interventi basandosi soprattutto su due criteri fondamentali: l'effettivo bisogno della popolazione di assistenza medico-chirurgica specializzata, e la scarsità o mancanza di altri interventi umanitari analoghi nel Paese.

Emergency si occupa inoltre di formare il personale locale secondo criteri e standard di alto livello professionale, di attuare interventi umanitari di assistenza ai prigionieri in contesti connessi a situazioni di conflitto e di realizzare progetti di sviluppo e cooperazione nei paesi in cui opera. Oltre alla chirurgia di guerra, l'attività di Emergency si è estesa alla cura di malattie invalidanti quali la poliomielite, di malattie endemiche come la malaria, all'assistenza sanitaria di base, alla risposta a bisogni sociali estremi presenti nei luoghi dell'intervento medico-chirurgico. Emergency prevede, altresì, che gli interventi di carattere sanitario avvengano, oltre che per le guerre in corso, anche in situazioni di povertà.

Parallelamente agli interventi umanitari all'estero, l'attività di Emergency in Italia è finalizzata alla creazione e diffusione di una cultura di pace, questo lavoro è possibile grazie all'impegno sul territorio italiano di circa 200 gruppi (nel 2007) con un numero di circa 4000 volontari; ogni gruppo territoriale promuove nella propria zona incontri rivolti a sensibilizzare ed informare l'opinione pubblica sui temi della pace e della solidarietà: interventi nelle scuole di ogni ordine e grado, presenza con banchetti informativi e di raccolta fondi a mostre, concerti, spettacoli, partecipazione ad incontri e dibattiti con la propria testimonianza.

Curiosità:

-Si è svolta il 28 Ottobre 2006 la prima Giornata Nazionale di Emergency; l'associazione è stata presente in oltre 290 piazze italiane con banchetti e varie iniziative locali.
-Il centro chirurgico di Battambang (Cambogia) è intitolato a Ilaria Alpi.
-La corsia femminile dell'ospedale di Goderich in Sierra Leone è intitolato a "Via del Campo" in omaggio a Fabrizio De André. Il reparto pediatrico è dedicato al pilota Alberto Nassetti.
-Nel sud dell'Afganistan, a Lashkar-gah, il Centro chirurgico per vittime di guerra è intitolato a Tiziano Terzani.
-Dal 2002, ogni anno, oltre mille volontari dell'associazione si ritrovano in una città italiana che ospita l'"Incontro Nazionale di Emergency". Tre giorni in cui si tengono corsi formativi per i nuovi volontari e aggiornamenti per chi invece è già "pratico".
-Il 3 maggio 2007 è stato inaugurato il centro di cardiochirurgia a Khartoum (Sudan). Il centro si chiama SALAM, in arabo "pace".

http://www.emergency.it/

sabato 10 novembre 2007

L'Argentina dalla memoria lunga

Trentamila placche incastonate in cinque pareti. Oltre ottomila hanno già inciso nome e cognome: è il primo monumento alle vittime del terrorismo di Stato dell'America Latina, e l'Argentina lo ha inaugurato ieri, nel Parco della Memoria di Buenos Aires. Trentamila, come i trentamila desaparecidos ingoiati dalla dittatura degli anni Settanta. Trentamila come i cadaveri fatti sparire, molti dei quali gettandoli da aerei in volo e a decine proprio in quel fiume, il Rio de La Plata, ai piedi del quale nasce il monumento. Trentamila, come le famiglie straziate da un dolore che non lascia pace.

Le cinque stele, disposte su un prato in modo da dare, se viste dall'alto, l'immagine di una ferita aperta, sono grigie e sobrie, alte e imponenti. E saranno il luogo della memoria, l'unico dove poter allacciare quella “celeste (...) corrispondenza d'amorosi sensi”, che, per scomodare il Foscolo “spesso per lei si vive con l'amico estinto e l'estinto con noi”. Le migliaia di argentini martoriati dalla tragedia della desaparecion, finalmente, dopo 24 anni dalla fine della dittatura, hanno il sepolcro, l'ara sacra in cui materializzare un lutto che ha segnato una nazione.

A inaugurarlo, il presidente uscente, Nestor Kirchner, a braccetto del presidente entrante, la moglie, Cristina Fernandez. Con loro il capo del governo, Jorge Telerman, e buona parte del gabinetto nazionale. In prima fila, loro, le nonne e le madri di Plaza de Mayo, con il loro immancabile foulard bianco in testa. Loro, voce e coraggio dell'Argentina che chiede verità e giustizia. Ed è alla fine dell'impunità che il capo dello stato si è riferito nel suo discorso, esigendo che gli “ideologi civili” siano consegnati alla giustizia. Gli unici, finora, a essere stati processati e condannati sono "un sacerdote e un poliziotto, ma quando verranno giudicati i capi?”, ha incalzato Kirchner.

Per adesso, incisi, uno a uno, 8.917 nomi, ossia quelli che vennero denunciati ufficialmente. Ma le organizzazione dei diritti umani assicurano che il numero reale è quantomeno tre volte tanto e per questo la Commissione Pro Monumento alle vittime del terrorismo di stato ( di cui fanno parte Abuelas e Mades e molte altre associazioni) si è incaricata di continuare a raccogliere i nomi da immortalare sulla pietra di porfido. Gli organizzatori spiegano come la scelta di disegnarlo come una ferita ancora da rimarginare sia stata dettata dalla presa di coscienza dello “sforzo di cui necessita l'Argentina per arrivare a una società più giusta”, unica strada verso la guarigione.

“Abbiamo un luogo per ricordare i desaparecidos, assassinati e caduti in combattimento in questo paese”, ha dichiarato il fotografo Marcelo Brodsky della Asociacion Civil Buena Memoria, portavoce della Comissione – Vogliamo più giustizia, più celerità nel loro lavoro, più giudici, più testimoni, più condanne. È dovere dello Stato realizzare le indagini necessarie per identificare tutte le vittime che mancano all'appello, così da poter completare le ventimila placche ancora vuote”.
Una nuova tappa, dunque, verso il cammino della verità, compiuto dal governo Kirchner, che ne ha fatto il simbolo del suo mandato. La lotta affinché tutti i colpevoli vengano condannati è stata prioritaria ogni giorno del suo governo. E il coinvolgimento mostrato in tutta la cerimonia lo ha dimostrato. Di fronte al monumento ha cercato con il dito il nome del suo caro amico, Carlos Labolita: “Ventire anni”, ha sussurrato. Un presidente che, negli ultimi colpi di coda ufficiali del suo mandato, che però passando alla moglie avrà una continuazione naturale, si è augurato che Cristina continui sulla stessa linea e anzi faccia di più.
E' di questa settimana anche un altro atto fondamentale nella via verso la guarigione. Il presidente ha incaricato il ministro della Difesa Nilda Garré di trasmettere alle Forze Armate l'ordine di collaborare alla ricerca dei corpi di Roberto Mario Santucho, capo dell'Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP), e di Benito Urteaga, militante di questa organizzazione, entrambi uccisi nel luglio del 1976. Un ordine che, secondo quanto dichiarato dal ministro, cerca di “soddisfare la necessità di ricostruire i fatti”, allontanando ogni difficoltà “che impediscono la ricerca della verità e della giustizia”.

(da Peacereporter)

giovedì 8 novembre 2007

Emir Kusturica

Emir Kusturica (24 novembre 1954) è un celebre regista nato a Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina.
Grazie a numerosi film acclamati in tutto il mondo, Kusturica è considerato uno dei registi più creativi del cinema degli anni '80 e '90.

Nato in una famiglia musulmana a Sarajevo, mostra subito la sua attitudine per il cinema realizzando già al liceo due cortometraggi. Frequenta la celebre accademia cinematografica FAMU Academy of Performing Arts di Praga dove si laurea nel 1977 con il cortometraggio "Guernica", che vince un premio al Festival Internazionale del cinema di Karlovy Vary. Dopo alcuni anni trascorsi alla televisione di Stato, debutta nel mondo del cinema nel 1981 con il suo primo film, "Ti ricordi di Dolly Bell?", che vince il Leone d'Oro al Festival di Venezia dello stesso anno.
La sua seconda pellicola, "Papà è in viaggio d'affari" (1985), vince la Palma d'Oro al Festival di Cannes, cinque premi in patria (una sorta di Oscar yugoslavi), e viene nominata per l'Oscar come "miglior film straniero". Nel 1989, riceve un'accoglienza ancora migliore per il suo film successivo, "Il tempo dei gitani", che offre uno sguardo penetrante e magico all'interno della cultura gitana e lo sfruttamento dei giovani.


Kusturica continua a girare film di grande successo, sia dal punto di vista del pubblico che da quello della critica, per tutto il decennio seguente. Il suo debutto "americano" avviene con la commedia surreale "Arizona Dream" (1993), al quale segue la "commedia-nera" vincitrice ancora della Palma d'Oro a Cannes "Underground" (1995), considerato da molti il suo capolavoro.
Nel 1998 vince il Premio speciale per la regia - Leone d'Argento a Venezia con il film "Gatto nero, gatto bianco", una commedia oltraggiosa e farsesca ambientata in un accampamento gitano sulla riva del Danubio.


In "L'amore che non muore" (2000), del regista francese Patrice Leconte, Kusturica, qui nella sua prima apparizione come attore, interpreta un ruolo con poche battute, ma che riesce a comunicare in maniera molto forte con il linguaggio del corpo e degli occhi.

Nel 2001 Kusturica dirige "Super 8 Stories", un tipico documentario on the road dedicato ad un concerto, pieno di materiale girato dietro le quinte, che offre una visone nuova ed estremamente divertente dell'evento.

In "Triplo gioco" (2002), diretto da Neil Jordan, Emir Kusturica appare nel ruolo di un chitarrista che suona sempre dei riff di Jimi Hendrix.

Nel 2004, Kusturica è stato onorato con il "Premio dell'Educazione Nazionale" per il suo film "La vita è un miracolo", considerato un vero e proprio mezzo educativo, per il quale sono stati creati e distribuiti nelle scuole dei CD-ROM con l'intenzione di facilitare l'analisi ed il dibattito sulla pellicola tra gli studenti. Kusturica è l'autore delle musiche del film, del quale è anche regista e sceneggiatore.


Kusturica è anche un grande appassionato di musica ed un ottimo musicista. È parte della No Smoking Orchestra, un gruppo fondato a Sarajevo nel 1980, nel quale, oltre a curare tutta la parte estetica e scenografica dei concerti, suona la chitarra elettrica e compone grande parte delle musiche e dei testi.


Emir Kusturica è celebre anche per i suoi forti e continui attacchi ai movimenti della destra ultranazionalista serba, come quando nel 1993 ha sfidato Vojislav Seselj a duello. Lo scontro avrebbe dovuto svolgersi nel centro di Belgrado a mezzogiorno, ma il leader del partito ultranazionalista si è rifiutato, dichiarando di non volere "essere accusato dell'omicidio di un filantropo".

Giochi senza frontiere « Attention...trois, deux, un...FIIIT! »

Giochi senza frontiere (in francese Jeux sans frontières, in inglese It's a knockout) è una trasmissione televisiva prodotta dall'European Broadcasting Union (EBU).

La prima edizione fu nel 1965 e, a parte l'intervallo tra il 1983 e il 1987, andò in onda ogni estate ininterrottamente fino al 1999. I giochi senza frontiere erano una sorta di Olimpiadi dove ogni nazione partecipante era rappresentata da una propria città che si sfidava in prove molto divertenti e particolari, con le città delle altre nazioni. Nel 1965 parteciparono Belgio, Francia, Germania Ovest e Italia e nel corso degli anni si avvicendarono in totale 20 nazioni.

In Italia il programma veniva trasmesso, dall'inizio fino al 1982 (anno in cui terminò la prima serie), dapprima sul "Secondo canale" della RAI, in seguito Rete Due, (dal 1971 al 1977 veniva condotto da Giulio Marchetti e da Rosanna Vaudetti) e poi, dal 1988, fu trasmesso su Raiuno. L'Italia ha vinto 4 volte: nel 1970, 1978, 1991 e 1999, ed è stata anche l'unica nazione sempre presente nelle edizioni ufficiali estive (30). Vennero disputate anche delle edizioni invernali. Questa trasmissione televisiva ha anticipato di anni il processo di avvicinamento dei vari paesi dell'Unione europea, in anni in cui non si parlava ancora dell'euro.

Il gioco consisteva in una serie di prove che le nazioni dovevano affrontare per guadagnare punti. Nelle prove in cui le nazioni si sentivano più forti potevano giocare il jolly, che faceva raddoppiare il punteggio totalizzato, mentre, a turno, saltavano una prova per giocare il fil rouge. Nel 1994 la squadra che non giocava "scommetteva" su un'altra ottenendo gli stessi suoi punti.

Fino al 1995 la trasmissione è stata itinerante: i Giochi venivano ospitati a rotazione dalle diverse nazioni partecipanti, cosicché di puntata in puntata i Giochi si svolgevano sempre in scenari diversi. Dal 1996 si è optato per una sede fissa: Torino nel 1996, Budapest nel 1997 (con finale però a Lisbona), Trento nel 1998, Isola di Capo Rizzuto nel 1999. Alla puntata finale di ogni edizione accedevano le squadre che per ciascuna nazione avevano ottenuto i risultati migliori nel corso delle puntate "eliminatorie". Ovviamente, essendo un programma dell'Eurovisione, a trasmetterla erano le tv affiliate, ma per la Svizzera la situazione è stata particolare: dal 1967 al 1982 tutte le tv SRG SSR idée suisse trasmettevano l'evento, nel 1992 invece li trasmise solo TSR (francese) e dal 1993 al 1999 TSI (italiana).

L'assenza dei Giochi dai palinsesti televisivi europei aveva causato in questi anni non poche proteste. In un'intervista del 2005 Ettore Andenna, storico conduttore per l'Italia, ha dichiarato: "La Rai ha ricevuto in una sola estate, l'anno dopo che erano finiti i Giochi Senza Frontiere, ben 7.000 lettere di telespettatori che rivolevano i giochi; e la Grecia, la Svizzera e la Slovenia vorrebbero ripartire". Ed effettivamente nel 2001 il programma sembrava sul punto di tornare dato che 6 nazioni erano disposte a partecipare (anche l'Italia, ma con lo spostamento da Raiuno a Raitre), poi è saltato tutto.
Anche all'estero l'assenza si è fatta sentire: in Slovenia, l'interesse per i Jeux è stato tale che la tv pubblica RTV di Lubiana, mandando in replica le registrazioni dei giochi degli anni passati, ha realizzato picchi di ascolti.
Il 20 luglio 2006, l'EBU aveva comunicato l'intenzione di riprendere le trasmissioni dei Giochi dopo un'assenza che durava dal 1999, e che era stato trovato un accordo per la produzione con la società Mistral: tuttavia, in seguito, alcuni problemi (in particolare di carattere finanziario) hanno bloccato l'edizione 2007, mentre si spera di poter organizzare quella del 2008. Ma i fan credono che la EBU non avrebbe accettato di riproporre il programma senza l'Italia, la nazione sempre presente.
Per la nuova edizione, si parlava di otto puntate più quella finale: ogni puntata si sarebbe dovuta comporre di cinque giochi, più il classico fil rouge e che le squadre avrebbero potuto utilizzare un jolly ciascuna. L'Italia, unica nazione sempre presente, era in trattativa per la partecipazione (e secondo indiscrezioni avrebbe indossato il colore bianco). Inoltre 2 comuni, Rosolina e Catania, avevano scritto alla RAI proponendosi come città ospitante nel caso la EBU optasse per la sede fissa come nelle ultime 4 edizioni.

Il 26 dicembre 1990, si svolse a Macao, allora colonia portoghese (tornata alla Cina nel 1999), una puntata speciale dei Giochi: la città infatti, viste le sue origini europee, rivendicava il proprio diritto all'organizzazione. Ettore Andenna e Feliciana Iaccio presentano la puntata per l'edizione italiana; in quest'occasione partecipano Jaca (Spagna), Trogir-Traù (RSF Jugoslavia), San Marino (San Marino), Guimaraes (Portogallo), Bergamo (Italia), Macao (Macao). La puntata venne vinta a pari merito da Bergamo e Trogir con 46 punti; seguirono, ancora a pari merito per il terzo posto, San Marino e Guimaraes con 34 punti, Jaca con 30 ed ultima Macao, organizzatrice dei Giochi, con soli 20 punti.
Oltre a questa si sono spesso organizzate puntate speciali per ricordare qualcosa che avesse a che vedere con la trasmissione.
Inoltre negli anni '80 e '90 si sono svolte alcune edizioni invernali di JSF (Giochi sotto l'albero, Questa pazza pazza neve) le quali erano ovviamente ambientate in località montane; l'ultima è del 1992 con Italia, Francia, Svizzera (quella italiana), e Cecoslovacchia (ma con soli paesi della parte ceca): vinse la ceca Novo Mesto Na Morava.

La trasmissione ha sempre avuto un carattere ludico di programma di intrattenimento. Aveva, però anche l'ambizione di avvicinare i popoli del continente europeo. Curiosamente, negli anni novanta le squadre partecipanti erano tra le altre quelle di Malta, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovenia, tutti paesi successivamente entrati nell'Unione europea.
È molto significativo che quando, su proposta di Ettore Andenna, divenuto eurodeputato, il Parlamento Europeo ha emanato una direttiva comunitaria sulla televisione, ha dato come titolo Televisione senza frontiere, chiaro ricalco del titolo della trasmissione.

lunedì 5 novembre 2007

Tommy Smith: un nero con il pugno alzato

Appena la bandiera a stelle e strisce iniziò ad osccillare nel vento di quell’estate messicana, Tommie Smith e John Carlos rimasero in piedi sul podio, con le loro medaglie al petto (per la cronaca, una era fatta d’oro ed una di bronzo), abbassarono le loro teste, ed alzarono un pugno, il destro Smith, il sinistro Carlos, pugni evidenziati dai loro guanti di cuoio nero…

Thomas Smith, meglio conosciuto come Tommie, nacque il 5 giugno del 1944, settimo di dodici figli.
Da piccolo, dopo essersi salvato da un terribile attacco di polmonite, iniziò a lavorare nei campi di cotone; poi, visto che il ragazzo era determinato ed amava lo studio, seguì l’università, dove ottenne due lauree e (visto che il ragazzo amava correre, ed era determinato...) tredici record universitari nell’atletica leggera.

E’ stato uno dei più grandi sprinter dell’atletica leggera, Tommie Smith, tra i più forti di sempre nei 200 metri, specialità con cui trionfò nelle olimpiadi di Mexico City, nel 1968, con il tempo record di 19.83 secondi.

E' a questo punto, poco dopo il record, che la storia di Tommie esce dai confini dell'attività sportiva.

La sua premiazione divenne uno dei più grandi simboli per immagini di tutto il XX secolo, e si trattò senza dubbio della cerimonia di medaglia più popolare di tutti i tempi, nonché un momento fondamentale per movimento di diritti civili.

Ad accompagnare Tommie Smith nella Storia, il suo collega ed amico John Carlos, medaglia di bronzo nella stessa gara.

Smith disse più tardi a chi lo intervistò che il suo pugno destro, dritto nell’aria, rappresentava il potere nero in America, mentre il pugno sinistro di Carlos rappresentava l’unità dell’America nera.

Con i loro pugni alzati, lì su quel podio olimpico, Tommie Smith e John Carlos comunicarono al mondo intero la loro solidarietà con il movimento del black power, che in quegli anni lottava aspramente per i diritti dei neri negli Stati Uniti.
In maniera non violenta i due stavano attuando quella disobbedienza civile che era stata auspicata da Martin Luther King (morto poco prima delle Olimpiadi)... i loro occhi rivolti verso il basso (e non verso la bandiera americana), insieme al loro pugni foderati di cuoio nero, suscitarono enorme scalpore e polemiche.

Un gesto silenzioso che scavò dentro molte coscienze.

Questo gesto di portata mondiale spinse Tommie Smith nella ribalta come portavoce dei diritti umani, attivista, e simbolo dell'orgoglio afro-americano africano, a casa ed all'estero. Smith ha poi vissuto anche una discreta carriera come un allenatore, educatore e direttore sportivo.
Ma torniamo a quelle olimpiadi del '68.
Il movimento dei diritti civili non aveva fatto molta strada nel tentativo di eliminare le ingiustizie subite dai neri d’America, e per attirare l'attenzione pubblica sulla questione, verso la fine del 1967, alcuni atleti neri avevano dato vita all’Olympic Project for Human Rights, OPHR, al fine di organizzare un boicottaggio alle olimpiadi che si sarebbero tenute l’anno successivo a Città del Messico.
Il leader del progetto era il dottor Harry Edwards.

Edwards, pur appoggiato da Smith e da altri, non riuscì però a convincere gli atleti neri della nazionale olimpica a partecipare al boicottaggio. I due atleti sfruttarono quindi il palcoscenico offerto dalla premiazione per rovinare la festa ai connazionali ed al mondo, almeno un po'.

L’altro atleta, quello bianco con la medaglia d’argento, prese a suo modo parte all’evento: portava sul petto un piccolo distintivo, c’era scritto OPHR.
La provocazione era completa.
Il nome di quell’atleta è Pietro Norman, la nazionalità australiana.

Un temporale di oltraggi fu quello che li investì: per vilipendio alla bandiera ed ai Giochi Olimpici furono espulsi dalla squadra nazionale e banditi dal villaggio olimpico.

Eppure la loro leggenda era già iniziata, visceralmente legata, come molti fatti del novecento, ad una immagine, una fotografia.

(Matteo Liberti)

sabato 3 novembre 2007

La pericolosa china

Quando meno di un mese fa in Germania a Maurizio Pusceddo, condannato per lo stupro di una giovane tedesca, sono state riconosciute le attenuanti generiche dovute “alle particolari impronte culturali ed etniche” l'Italietta insorse. “Una grave offesa per la patria”, si disse. Oggi l'Italietta insorge contro i rumeni e contro i Rom, che per le particolari impronte culturali ed etniche sarebbero portati alla violenza, al furto, allo stupro, e a tutte le nefandezze possibili e immaginabili.

Sessant'anni fa l'Italietta, a ruota dell'alleato germanico, insorse contro gli ebrei, colpevoli per le “particolari impronte culturali ed etniche”, di ogni disgrazia sociale ed economica che toccava in sorte al mondo.
Perché oggi non c'è più nessuno che insorge quando l'imbecillità, la meschinità, la sopraffazione tornano a prendere piede?

Il nostro Paese, da Rauti a Grillo, ha imboccato una china pericolosissima, che ci ha di fatto riportato ai periodi più neri e bui della storia, almeno stando ai titoli e ai commenti di troppa parte dell'informazione italiana.
Non ci stancheremo mai di ripeterlo: a produrre questi mostri è la cultura della guerra, della sopraffazione, del vedere nell'altro un nemico, nell'aver bisogno di un nemico per spiegarsi la realtà. Una cultura che purtroppo i governi di quasi tutti i paesi occidentali hanno scelto di ergere a modello. Ma la cultura della guerra è il sonno della ragione.

P.S. In serata, la notizia della squadraccia che, a Roma, ha quasi linciato tre persone, colpevoli di essere cittadini romeni. E subito, le lacrime di coccodrillo dei politici che fino ad un'ora prima facevano a gara a chi è più feroce con gli immigrati. Riusciremo mai più a tornare un Paese civile?

(Maso Notarianni)