martedì 27 maggio 2008

Gogol Bordello


I Gogol Bordello sono un gruppo musicale che nella propria musica esuberante mescola reggae, punk, hip hop e musica tradizionale ucraina, dando vita ad un genere che è stato definito come gipsy punk.
L'attuale formazione della band è formata da:
-Eugene Hütz, voce e chitarra
-Sergei Riabtsev, violino
-Yuri Lemeshev, seconda voce, fisarmonica
-Oren Kaplan, chitarra
-Thomas Gobena basso
-Rea Mochiach, basso e percussioni
-Eliot Fergusen, batteria
-Pamela Jintana Racine, percussioni
-Elizabeth Sun, percussioni

Gli strumenti musicali che usano sono i più diversi, dalla fisarmonica al fiddle, simil-violino, oltre al sax presente in alcuni dischi, il tutto mescolato al cabaret, la scena punk e il dub.

Hütz cita in un'intervista Jimi Hendrix tra le loro influenze in campo musicale, e Nikolai Gogol, di cui portano il nome, tra quelle in campo ideologico da cui un certo surrealismo, oltre a Manu Chao, Fugazi, Kalpakov, Rootsman e i Clash. In un'altra intervista rilasciata a MtvU.com, gli artisti che maggiormente hanno influenzato la band sono individuati nel gruppo The Stooges, in Sasha Kolpakov e Vladimir Visotsky.

Il loro suono è molto energetico e veloce, e le performance dal vivo sono rese spettacolari dalle coreografie, dalle due percussioniste e dall'estro del cantante.

Formatosi in un quartiere di New York nel 1993, sono conosciuti per i loro spettacoli frenetici e teatrali. Molte delle loro canzoni traggono ispirazione dalla musica tzigana, anche perché la maggior parte dei componenti è immigrato dall'Europa orientale, a partire dal loro leader Eugene Hütz allontanatosi dalla repubblica sovietica nel 1986 a causa del disastro di Chernobyl ed approdato a New York nel 1993. Qui conosce Vlad Solofar, Sasha Kazatchkoff ed Eliot Fergusen, quest'ultimo aggiunge una nota rock al suono del gruppo. Successivamente si unisce il violinista Sergei Riabtsev, già direttore teatrale a Mosca e perfetto per dare una ulteriore dose di bizzarria alla band.

I primi impieghi della band sono di semplice intrattenimento alle feste per i matrimoni di immigrati dall'Est Europa a New York. Il loro vero esordio musicale, un singolo, è stato pubblicato nel 1999, dopo di cui sono stati editi due album, un EP e un terzo disco in collaborazione con Tamir Muskat.

Nel 2005 hanno firmato un contratto con la casa discografica punk SideOneDummy Records.

Sono stati instancabilmente in tournèe in Europa e negli Stati Uniti d'America negli anni passati, ma le date fissate per il 2006 sono state cancellate per un problema fisico a un braccio di un componente. Molti dei concerti in cui hanno suonato non erano personali, ma facevano parte di festival musicali.

Recentemente, il loro singolo Start wearing purple è stato scelto come colonna sonora dei titoli di coda del film Ogni cosa è illuminata, dal romanzo omonimo di Jonathan Safran Foer, in cui Hütz ha anche uno dei ruoli principali. Il medesimo brano ha anche consentito al gruppo di guadagnarsi una nomination agli MtvU Woodie Awards 2006 nella categoria Left Field Woodie.Nel Luglio 2007 è stato pubblicato il loro ultimo album Super Taranta, contenente 14 canzoni, alcune delle quali sono state suonate durante il loro ultimo tour europeo.
Nel 2007, in occasione del Live Earth Eugene Hutz e Sergey Ryabtsev cantano con Madonna un mashup de "La Isla Bonita vs Lela Pala Tute".

Il cantante Eugene Hütz ha vissuto per un breve periodo anche in Italia, ed è rimasta traccia di questo suo soggiorno in alcune canzoni, dove si possono distinguere alcune imprecazioni in italiano; in una canzone, "Santa Marinella", il ritornello è in italiano e sono presenti varie bestemmie.

Nel 2005 Eugene Hütz ha partecipato come coprotagonista nel film Ogni cosa è illuminata, in cui interpreta la parte di Alex Pechov, un ragazzo di Odessa, Ucraina, che aiuta un americano (Elijah Wood) a ritrovare le radici della sua famiglia e nel frattempo scopre un po' delle sue. Nel 2008 partecipa all'esordio alla regia della popstar Madonna in Filth and Wisdom.

mercoledì 21 maggio 2008

Il popolo Rom

Il termine rom (in lingua romaní "rrom") fa riferimento a una delle etnie della popolazione romaní (anche detta degli zingari) originaria dell'India del Nord (media valle del Gange, oggi Uttar Pradesh) che ha lasciato l'India all'inizio dell'undicesimo secolo per giungere in Asia Minore alla fine dello stesso secolo.

I rom propriamente detti, si definiscono essi stessi rom e parlano la Lingua romaní, diffusa soprattutto nell'Europa dell'Est e in America.

Si stima che nel mondo ci siano tra i 12 e i 15 milioni di rom. Tuttavia il numero ufficiale di rom è incerto in molti paesi. Questo anche perché molti di loro rifiutano di farsi registrare come di etnia rom per paura di discriminazioni.

In Italia si stima che siano 45.000 rom di antico insediamento, di questi circa l'80% è cittadino italiano, il restante 20%, è costituito da rom provenienti dai paesi dell'Est Europa.

L'assenza di antichi documenti scritti ha comportato che per lungo tempo le origini e la storia dei rom fossero un enigma. Fino a che due secoli fa, gli antropologi ipotizzarono un origina indiana sulla base di prove legate alla lingua parlata dai rom.

La maggioranza degli storici accetta la tesi dell'origina indiana, tuttavia qualcuno ipotizza che la lingua rom sia il frutto del contatto tra questi e mercanti indiani.

Un altro indizio dell'origine indiana dei rom è la diffusione di cromosoma Y tipo H-M82 (presente nel 47.3% degli individui di sesso maschile rom), rarissimo al di fuori del subcontinente indiano. A questa caratteristica genetica si aggiunge anche la particolarità dei filamenti di DNA di tipo M contenuto nei mitocondri, tipico delle popolazioni indiane. Si pensa quindi che le popolazioni rom abbiano tendenzialmente una discendenza comune da un gruppo originario proveniente dall'India circa quaranta generazioni fa, successivamente frazionatosi.

Si ritiene che il termine rom provenga dal sanscrito Dxomba (ड़ोमब) che designava gli artisti
nell'India antica, in particolare indicava cantanti, ballerini, attori e percussionisti, che trasmettevano al popolo la saggezza indiana in un linguaggio più accessibile del sanscrito. Sotto le occupazioni moghol e soprattutto britannica la parola ha preso un senso peggiorativo che non aveva nell'India antica. Oggi, in Lingua romaní, rom significa uomo, marito e designa l'etnia stessa solamente presso i rom propriamente detti.

A volte vengono usati per indicare i rom anche altri nomi meno precisi poichè accomunano ai rom anche altre etnie, ad esempio in italiano zingari e gitani, in inglese gipsy, in spagnolo e in catalano gitanos, in portoghese cigano, in tedesco Zigeuner.

Del popolo orginario dell'India in realtà, i rom si distinguono da:

i kalé o gitani che hanno perduto l'uso della lingua rom, si definiscono kalé e vivono soprattutto in Spagna e in Sud America
i sinti (o sinte), tra i quali si possono distinguere i sinti piemontesi e lombardi, la cui lingua é largamente influenzata dall'italiano e dal piemontese, e i Sinti del Nord, la cui lingua è influenzata dal tedesco e dall'alsaziano. Essi si definiscono Sinti e sono chiamati manouches dai francesi.

All'interno del popolo rom vengono inoltre individuati dei sottogruppi sulla base di un criterio principalmente ergonimico (fatta sulla base del lavoro svolto):
Căldărari (o anche Kotlar(i) o Kalderash o Kalderásha) originari dei Balcani e migrati anche in Nord America e Europa Centrale, tradizionalmente dediti al mestiere del ramaio;

Lovára: allevatori e commercianti di cavalli (dall'ungherese ló = cavallo);
Churára o čurára: affilatori di coltelli (dal romaní čurín = coltello);

Machwáya, Boyásha e altri.

Ad ogni sottogruppo si fa seguire una ulteriore divisione per nazionalità (nátsija), quindi per discendenza (vítsa) prendendo il nome del capostipite, quindi per famiglia, per arrivare all'individuo.

La famiglia (padre, madre, figli) è la struttura base della comunità rom. Oltre essa si pone la famiglia estesa, che comprende i parenti con i quali vengono sovente mantenuti i rapporti di convivenza nello stesso gruppo, comunanza di interessi e di affari. Oltre alla famiglia estesa, presso i rom esiste la kumpánia, cioè l’insieme di più famiglie non necessariamente unite fra loro da legami di parentela, ma tutte appartenenti allo stesso gruppo ed allo stesso sottogruppo o a sottogruppi affini.
I rom adottano la religione appartenente alle popolazioni locali fra cui vivono, perché considerano la religione come un elemento culturale che deve essere acquisito per realizzare una buona integrazione sociale. Nella tradizione rom il rispetto reciproco tra le persone e i gruppi, compresi i gruppi confessionali, è più importante che l'ideologia religiosa.
Nei luoghi di pellegrinaggio si vedono rom di differenti confessioni.

Nei Balcani la maggioranza dei rom è ortodossa, in Italia sono soprattutto cattolici, come in Spagna e in Sud America, ma ci sono sempre più rom evangelici.

Porajmos (in lingua rom: «devastazione», «grande divoramento»), è il termine con cui i rom descrivono il tentativo del regime nazista di sterminare il loro popolo.
Durante l'olocausto i rom subirono persecuzioni pari a quelle degli ebrei. Nel 1935 la legge di Norimberga privò i rom della cittadinanza tedesca, dopo quella data essi furono oggetto di violenze, imprigionati in campi di concentramento e successivamente soggetti a un vero e proprio genocidio nei campi di sterminio nazisti. Questa politica di sterminio fu attuata anche nei territori occupati dalla Germania durante la guerra e dai loro alleati e in particolare dalla Croazia, dalla Romania e dall'Ungheria.

Poiché non si conosce con accuratezza il numero di rom che al 1935 vivevano in quei territori, è difficile dire con precisione quante furono le vittime. Ian Hancock, direttore del Programma di studi Rom presso l'Università del Texas ad Austin, suggerisce una cifra che oscilla tra le 500 mila e il milione e mezzo di vittime, mentre un stima di 220/500 mila vittime è fatta da Sybil Milton, storico dell'"Holocaust Memorial Museum".

Nell'Europa centrale, nei protettorati di Boemia e Moravia, lo sterminio fu così accurato che portò alla completa scomparsa della lingua rom-boema.

Dopo la seconda guerra mondiale ha preso forma un movimento che è arrivato in occasione del primo congresso nel 1971 a Londra alla creazione dell'Unione Internazionale dei Rom. Questa Unione mira al riconoscimento di un'identità e di un patrimonio culturale e linguistico nazionale senza stato né territorio, cioè presente in tutti i paesi europei.

martedì 6 maggio 2008

Den' Pobedy (День победы), il giorno della vittoria

Den' Pobedy, il giorno della vittoria. Questa é la data che in quasi tutta Europa segna la fine della Seconda Guerra Mondiale: per i russi il 9 maggio é la festa civile per eccellenza. Loro non dicono Seconda Guerra Mondiale ma la Seconda Grande Guerra Patriottica (Vtoraja Velikaja Otecestvennaja Vojnà) - la prima é quella del 1812 su Napoleone.

Una guerra cominciata nel giugno del 1941 (tremava il cielo nel giugno '41 scrive il poeta Evgenij Evtushenko ricordando la sua fuga di ragazzino sfollato) con l'invasione delle truppe tedesche. Quanto a sorpresa rimane ancora un enigma della storia, perché la voce di Stalin tacerà fino al 3 luglio, gettando nello sconforto un paese allo sbando, che oltretutto aveva perso nelle purghe degli anni '3O tutti i generali migliori. Il discorso di Stalin alla radio, appellandosi ai fratelli patrioti, e non come al solito ai tovarishi, dà il via a una riscossa dolorosissima, che ha come episodi più famosi l'assedio di Leningrado, durato oltre novecento giorni, e la battaglia di Stalingrado.

L'Unione Sovietica é stato il paese più crudelmente devastato; nelle sue province più occidentali, in Ucraina e Bielorussia, particolarmente feroce é stata la deportazione degli ebrei (la strage di Baby Jar a Kiev, dolorosamente cantata dal già citato Evtushenko, é un episodio terribile e trascurato di una tragedia che al giorno d'oggi sembra ripetersi con foschi segnali).

I morti alla fine sono oltre venti milioni, e ancora oggi il gap tra uomini e donne in Russia non é stato colmato.
I ricordi di questa giornata coinvolgono vecchi e giovani: sin dal mattino tutti si salutano s prazdnikom (buona festa) in modo affettuoso e solenne. Chi sceglie gli immensi boschi di betulle per i picnic a base di shashlik (spiedini) non dimentica di brindare alla vittoria, alla vita, alle vittime della guerra.
Si leggono poesie, si ripercorrono memorie familiari; nelle città invece si organizzano parate militari, sfilate di veterani a cui gettare fiori. Non si dimenticano le donne rimaste a casa, e quelle che al fronte hanno combattuto il nemico financo in squadriglie agguerrite di piloti. La serata si conclude ai primi cenni della notte con i saljut, ovvero i fuochi artificiali che illuminano il cielo terso e chiaro di maggio.

Nessun russo può dimenticare il Den' Pobedy: per i nostri occhi più smaliziati questa festa può apparire piena di retorica, di frasi fatte, di mentalità militare e sciovinista. Ma per la Russia confusa di oggi il ricordo di una grande vittoria dà un segno tangibile di speranza. Ci sono veterani morti di crepacuore quando delle inchieste televisive hanno gettato delle ombre sul destino sovietico nella guerra. E' a loro che va il più grande rispetto. E ai bambini, a tutti gli innocenti morti in questa guerra infinita. S prasdnikom, za zdorov'e.