martedì 9 ottobre 2007

9 ottobre 1963 ore 22.39: disastro del Vajont

Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno (Italia). La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione.
La stima più attendibile è, a tutt'oggi, di 1910 vittime. Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione.
Fu aperta un'inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la previdibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi.
Ora Longarone ed i paesi colpiti sono stati ricostruiti.
La zona in cui si è verificato l'evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da esso si può apprendere.









La frana che si staccò alle ore 22.39 dalle pendici settentrionali del monte Toc precipitando nel bacino artificiale sottostante aveva dimensioni gigantesche. Una massa compatta di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti furono trasportati a valle in un attimo, accompagnati da un'enorme boato. Tutta la costa del Toc, larga quasi tre chilometri, costituita da boschi, campi coltivati ed abitazioni, affondò nel bacino sottostante, provocando una gran scossa di terremoto. Il lago sembrò sparire, e al suo posto comparve una enorme nuvola bianca, una massa d'acqua dinamica alta più di 100 metri, contenente massi dal peso di diverse tonnellate. Gli elettrodotti austriaci, in corto-circuito, prima di esser divelti dai tralicci illuminarono a giorno la valle e quindi lasciarono nella più completa oscurità i paesi vicini. La forza d'urto della massa franata creò due ondate. La prima, a monte, fu spinta ad est verso il centro della vallata del Vajont che in quel punto si allarga. Questo consentì all'onda di abbassare il suo livello e di risparmiare, per pochi metri, l'abitato di Erto. Purtroppo spazzò via le frazioni più basse lungo le rive del lago, quali Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino. La seconda ondata si riversò verso valle superando lo sbarramento artificiale, innalzandosi sopra di esso fino ad investire, ma senza grosse conseguenze, le case più basse del paese di Casso. Il collegamento viario eseguito sul coronamento della diga venne divelto, così come la palazzina di cemento, a due piani, della centrale di controllo ed il cantiere degli operai. L'ondata, forte di più di 50 milioni di metri cubi, scavalcò la diga precipitando a piombo nella vallata sottostante con una velocità impressionante. La stretta gola del Vajont la compresse ulteriormente, facendole acquisire maggior energia. Allo sbocco della valle l'onda era alta 70 metri e produsse un vento sempre più intenso, che portava con se, in leggera sospensione, una nuvola nebulizzata di goccioline. Tra un crescendo di rumori e sensazioni che diventavano certezze terribili, le persone si resero conto di ciò che stava per accadere, ma non poterono più scappare. Il greto del Piave fu raschiato dall'onda che si abbatté con inaudita violenza su Longarone. Case, chiese, porticati, alberghi, osterie, monumenti, statue, piazze e strade furono sommerse dall'acqua, che le sradicò fino alle fondamenta. Della stazione ferroviaria non rimasero che lunghi tratti di binari piegati come fuscelli. Quando l'onda perse il suo slancio andandosi ad infrangere contro la montagna, iniziò un lento riflusso verso valle: una azione non meno distruttiva, che scavò in senso opposto alla direzione di spinta. Altre frazioni del circondario furono distrutte, totalmente o parzialmente: Rivalta, Pirago, Faè e Villanova nel comune di Longarone, Codissago nel comune di Castellavazzo. A Pirago restò miracolosamente in piedi solo il campanile della chiesa; la villa Malcolm venne spazzata via con le sue segherie. Il Piave, diventato una enorme massa d'acqua silenziosa, tornò al suo flusso normale solo dopo una decina di ore. Alle prime luci dell'alba l'incubo, che aveva ossessionato da parecchi anni la gente del posto, divenne realtà. Gli occhi dei sopravvissuti poterono contemplare quanto l'imprevedibilità della natura, unita alla piccolezza umana, seppe produrre. La perdita di quasi duemila vittime stabilì un nefasto primato nella storia italiana e mondiale........... si era consumata una tragedia tra le più grandi che l'umanità potrà mai ricordare.

Un saluto al signor Rico Mazzucco (superstite di Casso) che, al nostro arrivo a Longarone, ci ha raccontato la sua storia e quella del disastro con i suoi modellini della valle del Vajont che riproducono la zona prima della costruzione della diga, dopo la costruzione con il bacino completato e adesso, a seguito della caduta della frana.

3 commenti:

vindemiatrix ha detto...

Sono stato a Longarone qualche anno fa, ho visitato con mia moglie il paese di Longarone e gli abitati di Erto e Casso resi famosi dalla tragedia del Vajont.

E' stata un'esperienza incredibile, una delle poche che mi hanno lasciato, oltre al ricordo di un paesaggio mozzafiato o di un monumento storico, un segno dentro scavato dalle emozioni e da un qualcosa di indescrivibile che ti prende quando sei li'.

Cerco di raccontare quello che è successo in quei due giorni e spero di riuscire a rendere l'idea di quello che ho provato.

Per prima cosa, vorrei dare un suggerimento a chi volesse conoscere la storia del disastro del Vajont e andare a visitare i luoghi dove si è consumata: leggere le numerose testimonianze di chi è sopravvissuto o di chi indirettamente è stato "parte" del disastro (in internet si trova di tutto) e poi, se si ha la possibilità, leggere o guardare (ci sono videocassette e probabilmente dvd) il monologo di Marco Paolini "Paolini, Vajont 9 Ottobre 1963" prima di andare a Longarone e magari riguardarlo qualche giorno dopo che si è tornati.

Il primo contatto con queste emozioni l'abbiamo avuto nei locali della pro-loco di Longarone: ci sono alcune sale allestite con delle ricostruzioni della diga, articoli di giornale e documntazione varia, quel giorno, fortuna volle, che fossero presenti anche alcuni plastici (artigianali ma piuttosto precisi) che mostravano la valle del Vajont, prima, durante e dopo il disastro.
Mentre li guardavamo e cercavamo di ricostruire la situazione ricordando il poco che sapevamo sui momenti della tragedia, si avvicina un uomo che ci illustra le varie "fotografie tridimensionali" che avevamo di fronte, per poi svelarci di esserne l'autore: Rico Mazzucco, un gentilissimo signore che ci invita per il giorno successivo all'esposizione delle sue opere (di cui quelle esposte alla pro-loco erano una piccola parte) nello spiazzo antistante la diga del Vajont.

Nel pomeriggio, la visita alla chiesa che commemora le vittime di Longarone, una struttura con un'architettura moderna che comunque non stona nell'ambiente in cui si trova, nel sagrato, i settori delle aiuole ospitano la terra proveniente da tutte le parti d'Italia come segno di solidarietà, in pratica passeggiando di fronte alla chiesa si cammina per tutta l'Italia.

Il giorno successivo, la visita guidata alla diga aggiunge altre conoscenze e altri pezzi di un mosaico coloratissimo di emozioni che poi sarebbe stato bello completare con una chiacchierata con qualche sopravvissuto di Erto e Casso per sentire dalla loro viva voce il ricordo dell'episodio che ha segnato per sempre la loro vita.

Quello che si avverte è un rispetto della gente per quella diga che ha resistito nonostante la frana del monte Toc e la seguente ondata che l'ha scavalcata e l'ha preservata a ricordo futuro di quello che stava per succedere; potrebbe sembrare blasfemo ma quella diga per loro è quasi un orgoglio: non la volevano, ne avevano paura, ma l'hanno costruita loro ed è "loro"; quello che è successo lo avevano previsto o quantomeno lo temevano, ma la diga è rimasta in piedi.
Sarebbe bello prendere la storia di tutti i protagonisti (il prete di erto, il gestore del bar, l'operaio, il bambino che andava a scuola, etc.), per vedere la vita di quegli anni con i loro occhi e così assistere a dieci, cento film diversi che finiscono tutti nello stesso modo ma che contengono episodi diversi o magari uguali ma visti da angoli differenti, sarebbe bello e in parte è possibile.

Rinnovo quindi il mio invito: cercate le testimonianze e guardate i vari film o pezzi di teatro che parlano del Vajont e poi se sentite dentro qualcosa che non capite o che vi spinge a sapere qualcosa di più, fate un giro a Longarone e paesi limitrofi, non ve ne pentirete.

Anonimo ha detto...

Ciao.
Suggerirei inoltre di cercare in libreria i libri della Merlin, di Mario Passi e di Sandro Canestrini. Senza i quali, Paolini a parte, NON è possibile avvicinarsi a capire quanto è successo, da cinquant'anni a questa parte.
Provare qui (copia/incolla, magari):
http://www.vajont.org/vajont_static/libri.html

Sono tuttora in corso diversi reati, in zona, sulla pelle e sulla Memoria di chi ha perso tutto. Il "dopo" - chiederne conferma al Sig. Mazzucco - è stato (ed è) peggiore del "disastro".

vindemiatrix ha detto...

Grazie, per l'indicazione...
...noi siamo di Como, e onestamente sapevamo (e sappiamo) molto poco sul dopo-disastro.

Abbiamo avvertito, come dicevo nel precedente intervento, delle sensazioni che magari sono state dettate dal nostro stupore e dalla nostra meraviglia nel trovarci di fronte a quello che vedevamo e alla memoria di ciò che è successo.

Probabilmente chi ha vissuto il disastro, chi lo sta continuando a vivere (come mi pare di capire il "dopo" è forse peggio del "durante" per chi e' sopravvissuto), ha dei pensieri diversi, molto piu' personali in quanto paga sulla propria pelle le conseguenze dirette e indotte di cio' che è successo.

Cercherò di leggere quello che Tiziano consiglia e spero che lo facciano in tanti.