Due settimane or sono un procuratore federale belga aveva riaperto il caso avanzato dalal denuncia di 4 esuli rifugiati nel paese centro europeo. I quattro hanno accusato l'impresa di aver fornito aiuti logistici e finanziari negli anni '90 al regime per creare un gasdotto utilizzando il lavoro forzato dei detenuti politici; detenuti sui quali vengono anche eseguite condanne extragiudiziali, vengono effettuate torture e si perpetrano omicidi e sequestri ad insaputa degli stessi quadri militari.Questo nella zona di Yadaan, principale campo di sfruttamento di Total in Myanmar, di cui estrae il 25 percento del petrolio greggio.
La denuncia è stata avanzata dal legale dei birmani, la cui identità viene mantenuta segreta, l'avvocato Alexis Deswaef, nei confronti dell'ex numero uno di Total-Elf Thierry Desmarest e del direttore della società per gli affari birmani Hervé Madeo. Una prima denuncia era stata presentata nel 2002, per poi venire giudicata inammissibile perché nessuna delle parti civili era cittadino belga. Ma la legge, ha riconosciuto da poco la Corte Costituzionale belga, permette a un rifugiato di presentare denuncia per la tutela di suoi interessi, così come un cittadino belga. In più, dal 2004 Bruxelles si è dotata di una norma che permette di perseguire crimini contro l'umanità, anche se essi non sono stati commessi su territorio belga o da cittadini belgi, come era stato il caso di Ariel Sharon, denunciato per la sua gestione dell'eccidio di Sabra e Chatila in Libano nel 1982.
L'industria del gas birmana ha fruttato più di 2 miliardi di dollari di profitto ai militari nel 2006, principale fonte di reddito per i dittatori. La maggior parte del denaro proveniva da due sole zone ricche di gas, Yetagun e Yadana. L'ultima, situata nella Birmania meridionale, è stata sviluppata da un consorzio gestito dalla Total dal 1992. La Ong Human Rights Watch ha denunciato la scarsa trasparenza sull'uso che viene fatto dei ricavi del gas: quasi tutto va all'esercito, e una somma irrilevante va a salute, educazione e servizi sociali.
Gli investitori nel settore del petrolio e del gas birmani provengono da Australia, Cina, Isole Vergini britanniche, Thailandia, Malesia, Corea del Sud, Russia, Francia, Stati Uniti, Giappone, Singapore e India. “Le imprese che fanno affari in Birmania sostengono che loro presenza sarebbe costruttiva e darebbe beneficio alla popolazione birmana, ma non hanno ancora condannato gli abusi del governo verso i loro cittadini”, dice Arvind Ganesan, che ha preparato per la Ong Human Rights Watch un dossier sulle sanzioni al regime brimano. Lo scorso anno, Yadana ha prodotto più di 19 milioni di metri cubi di gas al giorno, utilizzati in gran parte per alimentare le centrali energetiche della vicina Thailandia. Yadana ha una capacità di circa 150 miliardi di metri cubi di gas. Total ha calcolato che il suo progetto sul posto durerà per altri 30 anni. Il presidente francese Nicholas Sarkozy aveva detto il 30 settembre che nessuna impresa francese doveva fare nuovi investimenti in Birmania. Nessun cenno a Total perché lasci il paese. Jean-François Lassalle, vicepresidente Total, ha detto che costringere l'impresa a ritirarsi significherebbe soltanto “lasciare altri operatori arrivare al nostro posto”. Ha ammesso che l'esercito birmano ha utilizzato il lavoro forzato nell'area circostante i campi di Yadana. Ma per lui “Total non ha mai fatto uso del lavoro forzato, nemmeno indirettamente attraverso appaltatori. Ci siamo sempre assicurati che il lavoro forzato non fosse utilizzato nelle zone in cui operiamo. Non appena abbiamo appreso di episodi di lavoro forzato nel 'corridoio' del gasdotto abbiamo pagato un risarcimento”.
Harn Yanghwe, dell'ufficio Euro Burma dalla capitale europea ha detto : “Non credo che Total sia coinvolta direttamente negli abusi dei diritti umani. Tuttavia, per poter mantenere operativo il gasdotto, l’impresa ha contrattato il governo birmano per la sicurezza, ed è proprio qui che sta il problema”. Per Yanghwe che le imprese che fanno affari coi dittatori se ne vadano o meno è una “questione delicata. Qualsiasi impresa che abbia lasciato la Birmania è stata finora sostituita”. Le quote dell'industria petrolifera British Petroleum, per esempio, sono state vendute alla malese Petronas. “Quasi tutti i birmani vorrebbero tenere fuori queste imprese dal paese”, ha detto Yanghwe, ma credo che sia una posizione da rivedere. Al momento, tutti i nostri investitori sono imprese asiatiche. Ma dobbiamo mantenere investimenti e imprese straniere con standard internazionali, soprattutto per favorire un cambiamento in Birmania”.
(Gianluca Ursini)
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