Thomas Smith, meglio conosciuto come Tommie, nacque il 5 giugno del 1944, settimo di dodici figli.
Da piccolo, dopo essersi salvato da un terribile attacco di polmonite, iniziò a lavorare nei campi di cotone; poi, visto che il ragazzo era determinato ed amava lo studio, seguì l’università, dove ottenne due lauree e (visto che il ragazzo amava correre, ed era determinato...) tredici record universitari nell’atletica leggera.
E’ stato uno dei più grandi sprinter dell’atletica leggera, Tommie Smith, tra i più forti di sempre nei 200 metri, specialità con cui trionfò nelle olimpiadi di Mexico City, nel 1968, con il tempo record di 19.83 secondi.
E' a questo punto, poco dopo il record, che la storia di Tommie esce dai confini dell'attività sportiva.
La sua premiazione divenne uno dei più grandi simboli per immagini di tutto il XX secolo, e si trattò senza dubbio della cerimonia di medaglia più popolare di tutti i tempi, nonché un momento fondamentale per movimento di diritti civili.
Ad accompagnare Tommie Smith nella Storia, il suo collega ed amico John Carlos, medaglia di bronzo nella stessa gara.
Smith disse più tardi a chi lo intervistò che il suo pugno destro, dritto nell’aria, rappresentava il potere nero in America, mentre il pugno sinistro di Carlos rappresentava l’unità dell’America nera.
Con i loro pugni alzati, lì su quel podio olimpico, Tommie Smith e John Carlos comunicarono al mondo intero la loro solidarietà con il movimento del black power, che in quegli anni lottava aspramente per i diritti dei neri negli Stati Uniti.
In maniera non violenta i due stavano attuando quella disobbedienza civile che era stata auspicata da Martin Luther King (morto poco prima delle Olimpiadi)... i loro occhi rivolti verso il basso (e non verso la bandiera americana), insieme al loro pugni foderati di cuoio nero, suscitarono enorme scalpore e polemiche.
In maniera non violenta i due stavano attuando quella disobbedienza civile che era stata auspicata da Martin Luther King (morto poco prima delle Olimpiadi)... i loro occhi rivolti verso il basso (e non verso la bandiera americana), insieme al loro pugni foderati di cuoio nero, suscitarono enorme scalpore e polemiche.
Un gesto silenzioso che scavò dentro molte coscienze.
Questo gesto di portata mondiale spinse Tommie Smith nella ribalta come portavoce dei diritti umani, attivista, e simbolo dell'orgoglio afro-americano africano, a casa ed all'estero. Smith ha poi vissuto anche una discreta carriera come un allenatore, educatore e direttore sportivo.
Ma torniamo a quelle olimpiadi del '68.
Il movimento dei diritti civili non aveva fatto molta strada nel tentativo di eliminare le ingiustizie subite dai neri d’America, e per attirare l'attenzione pubblica sulla questione, verso la fine del 1967, alcuni atleti neri avevano dato vita all’Olympic Project for Human Rights, OPHR, al fine di organizzare un boicottaggio alle olimpiadi che si sarebbero tenute l’anno successivo a Città del Messico.
Il leader del progetto era il dottor Harry Edwards.
Il leader del progetto era il dottor Harry Edwards.
Edwards, pur appoggiato da Smith e da altri, non riuscì però a convincere gli atleti neri della nazionale olimpica a partecipare al boicottaggio. I due atleti sfruttarono quindi il palcoscenico offerto dalla premiazione per rovinare la festa ai connazionali ed al mondo, almeno un po'.
L’altro atleta, quello bianco con la medaglia d’argento, prese a suo modo parte all’evento: portava sul petto un piccolo distintivo, c’era scritto OPHR.
La provocazione era completa.
Il nome di quell’atleta è Pietro Norman, la nazionalità australiana.
La provocazione era completa.
Il nome di quell’atleta è Pietro Norman, la nazionalità australiana.
Un temporale di oltraggi fu quello che li investì: per vilipendio alla bandiera ed ai Giochi Olimpici furono espulsi dalla squadra nazionale e banditi dal villaggio olimpico.
Eppure la loro leggenda era già iniziata, visceralmente legata, come molti fatti del novecento, ad una immagine, una fotografia.
(Matteo Liberti)
1 commento:
Smith e Carlos, due Atleti con la A maiuscola... ce ne vorrebbe di gente così anche a Pechino...
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