Mentre l'anziana madre, terrorizzata, si nascondeva in giardino, il padre, Gennady Petrov, 87enne ex-colonnello dell'Armata Rossa, faceva scudo alla figlia con il suo corpo. Invano. Natalia è stata ammanettata e trascinata via dopo essere stata ridotta in uno stato di semi-incoscienza per le botte. Ha trascorso la notte in commissariato. Poi è stata sbattuta fuori, mezza morta. Con le forze residue, è tornata a casa. Ha preso le bambine, abbracciato i genitori ed è fuggita via. Adesso è nascosta da qualche parte a Mosca. Nessuno sa dove sia, salvo alcuni colleghi. Al padre, recatosi un mese dopo l'irruzione al commissariato di Kazan per chiedere spiegazioni, è stato risposto dal capo della polizia, tale Vyacheslav Prokofyev: "Tua figlia ha parlato troppo. Adesso è ricercata, su di lei pende un mandato di arresto internazionale. Di lei possiamo fare ciò che vogliamo".
Non è per caso che il padre di Natalia si recò da Prokofyev. Nell'agosto 2005, a Kazan, si tenne un summit tra Putin, Nazarbayev (presidente del Kazakistan), Lukashenko (presidente-dittatore della Bielorussia) e Yushenko (presidente ucraino). Natalia fu accreditata come giornalista per l'agenzia 'Eurasia'. Mentre si recava in macchina verso il centro stampa fu fermata da alcuni uomini in borghese e 'invitata' a entrare nella loro auto. Al suo rifiuto, gli uomini chiamarono il loro capo, che intimò a Natalia di obbedire, rifiutandosi di spiegare le ragioni del fermo, ma fornendo le proprie generalità. Era Prokofyev, capo del distretto di polizia della capitale. Il 6 settembre, il giorno dell'aggressione, Natalia udì quella stessa voce da una delle ricetrasmittenti degli uomini che erano venuti a prenderla.
"Di lei possiamo fare ciò che vogliamo", aveva risposto Prokofyev al padre della giornalista. Di lei, gli apparati repressivi ex-sovietici (meglio diremmo sovietici, dati i metodi totalitari per i quali, ogni giorno di più, dimostrano una nostalgica e morbosa inclinazione) non potranno fare nulla, finchè Natalia rimarrà alla macchia. Ma la mano del regime è lunga. E ha la memoria lunga. Non è solo la vita di Natalia ad essere in pericolo. Il 2 dicembre scorso, data delle elezioni per il rinnovo del Parlamento russo, i genitori di Natalia, Gennady Petrov e la moglie Nina Petrova, sono stati arrestati mentre si recavano alle urne. La coppia è stata accusata di diffamazione per aver denunciato le violenze del 6 settembre.
Andrej Mironov, membro dell'organizzazione per i diritti umani 'Memorial', ha conosciuto Natalia durante la prima guerra cecena (1994-1996). Ha spiegato che il lavoro della giornalista-regista non si limitava alla registrazione filmata degli eventi: "Natalia aiutava i feriti, li curava. Non posso che dire tutto il bene possibile di lei. Natalia ha fatto ciò che la Politkovskaya aveva fatto nella seconda guerra cecena. Entrambe hanno avuto uno spirito compassionevole, nell'affrontare la tragedia della guerra, specialmente per quanto riguarda i bambini. Hanno visto la guerra con l'occhio delle madri. Natalia aveva due bimbe piccole durante la prima guerra cecena. Così come Anna, durante la seconda". Natalia riuscì a far uscire 19 prigionieri dalla Cecenia. Fu la prima a indagare le circostanze della morte di Nadejda Chaikova, giornalista della 'Obshaya Gazeta' uccisa nel marzo del '96. Abbiamo chiesto a Mironov se sia possibile intervistare Natalia, o visitarla nella sua residenza segreta. "E' troppo pericoloso. Non può esporsi al pubblico. In nessun modo".
Natalia Petrova ha 48 anni. Ha realizzato tre documentari dal titolo: "Abkhazia mon amour", "I bambini del Karabakh" e "L'antica terra dei ceceni". Quest'ultimo, nel 1997, ha vinto il Grand Prix dell'Accademia cinematografica tedesca. Per chi chiede giustizia per Anna Politkovskaya una nuova battaglia è cominciata. Una battaglia che va combatttuta e vinta prima che sia troppo tardi.
(Luca Galassi)
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