venerdì 21 dicembre 2007

Le donne di Khan Younis

Scendendo verso il sud della Striscia di Gaza, prima di Rafah, vicino al confine egiziano, c'è Khan Younis. È la seconda città della Striscia e probabilmente la più conservatrice. Qui le donne che portano lo hijab sono la normalità, così come gli uomini con le barbe incolte. Al di fuori di questa normalità, c’è sicuramente Majda, 38 anni, master a Londra in antropologia, che in un territorio chiuso e tradizionalista come questo si è inventata l’associazione “Libero pensiero”, per aiutare le donne a prendere consapevolezza dei loro diritti.

Majda gira senza velo, in jeans e maglietta, non per sfida, semplicemente per un diverso modo di vivere il proprio essere donna. “Le violenze domestiche in questa zona sono all’ordine del giorno - spiega alla delegazione del movimento Donne in nero, giunta a casa sua - gli uomini non lavorano, stanno a casa, specie dall’inizio dell’assedio. Mancano le sigarette, accumulano rabbia, diventano aggressivi. La nostra associazione cerca di offrire alle donne che vivono situazioni difficili in famiglia un appoggio dal punto di vista psicologico e giuridico, ma in questa fase ha assunto priorità l’emergenza economica, quindi ad esempio ci viene chiesto vestiario invernale per i bambini, anche perchè qui le case non sono riscaldate. L’emergenza creata dall’assedio e dall’embargo imposto alla Striscia da Israele ha portato ai tagli dell’erogazione elettrica, così ogni tanto se ne va la luce (lo verifichiamo personalmente due volte a casa di Majda), di solito due volte al giorno per qualche decina di minuti, altre volte per dieci ore. Passi per chi è a casa, ma negli uffici, negli ospedali, in tutte le altre attività risulta veramente difficile andare avanti”.

“Le donne, specialmente nel sud della Striscia, non hanno la possibilità di esprimersi. Noi lavoriamo sia con loro che con i bambini, spesso vittime anche loro di violenza in casa, a scuola o in strada. Crediamo che, se cresceranno con dignità e con una cultura più aperta, riusciranno a costruire una società migliore di quanto non siamo riusciti a fare noi. Naturalmente nella nostra azione troviamo molti uomini che non vogliono l'emancipazione femminile. Siamo state, personalmente e come struttura, vittime di atti intimidatori, ma noi proseguiamo nel nostro percorso. Cerchiamo di far capire alle donne che è un loro diritto avere propri spazi per riunirsi, giocare, fare teatro, ballare o avere la possibilità di vedere un dottore, un avvocato. Ogni mese ne vediamo in tutto 650. La maggior parte vengono qui, le altre le raggiungiamo noi, a causa dei trasporti costosi o dei mariti che impediscono loro di uscire”.

"Tra i casi più frequenti di difficoltà ci sono i matrimoni delle giovanissime: casi di adolescenti che avevano mal di pancia e poi si scopre che stavano nascondendo una maternità. A volte ci sono abusi anche da parte di componenti di famiglie più agiate che sostengono quelle più povere e che, con quella scusa, approfittano delle giovani donne. Una volta mandavamo i casi più difficili nell’unico centro che ha delle case famiglia, a Betlemme, ma adesso uscire dalla Striscia è praticamente impossibile. Ci sono situazioni come quella di una donna uccisa perché, secondo i pettegolezzi di qualcuno, aveva avuto un figlio fuori dal matrimonio, salvo poi venire a sapere che era una bugia. Aveva solo 22 anni. La polizia, se vuoi denunciare la cosa, non ti ascolta. Inoltre quella di Hamas è tutta corrotta. E poi come si fa a denunciare un crimine a una polizia illegale che ha preso il potere con la forza? Non voglio demonizzare Hamas, anzi, il primo anno in cui è stato al potere abbiamo collaborato, ma da giugno la situazione è cambiata. Ci sono uccisioni tutti i giorni. C’è una sorta di coprifuoco, per la strada dopo il tramonto non c'è quasi nessuno, i negozi chiudono presto, mentre prima restavano aperti fino all’una di notte”.


(Milena Nebbia)

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