venerdì 28 dicembre 2007

La dinastia Bhutto

Una famiglia impegnata, i Bhutto. Cha ha ricevuto giudizi controversi. E un comune, tragico, destino. Benazir è la terza componente della famiglia impegnata nella vita pubblica e la quarta uccisa in circostanze non acclarate. Il padre e i due fratelli avevano patito la stessa sorte: il primo giustiziato pubblicamente, gli altri misteriosamente assassinati. Un destino simile alla grande dinastia dei vicini hindu, i Nehru – Ghandi. Con la madre Indira e il figlio Rajiv uccisi da estremisti di minoranze anti hindu. Famiglia di credo Sciita, riusciva ad attrarre voti anche dalle comunità Sunnite come pure da gente di confessioni religiose diverse.

Zulfiqar Ali Bhutto, capostipite e padre della candidata uccisa a Rawalpindi da un kamikaze alla fine di un comizio, era l'uomo che aveva definitivamente dato l'attuale forma al Partito Popolare. Negli anni '70 era stato un premier molto seguito, con riforme sociali dal sapore laburista, uno dei pochi primi ministri dall'indipendenza del Pakistan a non vestire la casacca militare. E' stato impiccato nel 1979 dall'allora dittatore militare, generale Zia Ul Haq. A motivare le pena capitale una pretestuosa accusa di ''tradimento della patria''.

Shanhawaz, il fratello più amato e più pacato della famiglia, venne trovato ucciso da una pistola mai ritrovata, nella sua villa in Costa azzurra nel 1985. Ma il predestinato a guidare il Pakistan sembrava il maggiore, Murtaza. Era scappato in esilio in Afghanistan, ospite dell'allora governo comunista, nel 1979, all'uccisione del padre. Nel suo nome (El Zulfiqar, come il genitore) aveva fondato un partito, con il quale aveva vinto le elezioni del 1993 dall'esilio. Era rientrato e sembrava destinato a guidare il paese. Fin a quando, dopo un comizio, il suo cuore non incontrò una pallottola, rimasta senza mandante, nel 1996.

Benazir nasce nel 1953 nella provincia di Sindh e viene destinata a studi da leader politica, quando frequenta le facoltà di economia e Scienze politiche ad Harvard e Oxford. Aveva sempre dichiarato di non volersi occupare di politica, forse intuendo quale sarebbe stato il suo destino. La sua fedeltà al padre era indiscutibile, tanto da costarle cinque anni di fila di carcere inflittole dalla dittatura, quando nel 1977 i militari condannarono Zulfiqar alla pena capitale. Pena poi eseguita a due anni di distanza. Era stata comunque costretta dalla moria familiare ad accettare la carica di primo ministro ben due volte, dal 1988 al '90 e dal '93 al '96. Come Indira Gandhi era stata la prima donna premier in assoluto a capo di una nazione democraticamente eletta, Benazir è stata la prima donna nel pianeta a cui i cittadini di un paese musulmano hanno affidato la guida di un Governo. La sua autorità morale alla fine degli anni '80 come donna leader era in costante ascesa. Aveva fondato il Ppp in esilio a Londra, fino al suo rientro trionfale nel 1986. L'uccisione del dittatore Zia in un misterioso incidente aereo nel 1988 le spianò la strada verso il premierato. Ma gli anni '90 la attendevano con un risvolto molto più mondano. E amaro.

Nel corso dei suoi due premierati sono state queste le accuse con le quali i militari alla presidenza la rimossero dal suo incarico. Nella sua ombra s'è sempre mosso, lasciando tracce sospette, il marito Asif Zardari, anch'egli nato in una dinastia imprenditoriale pachistana di primo piano. Ma da brava moglie lei lo ha sempre difeso dalle accuse di aver manipolato diversi appalti pubblici per l'acquisto di armamenti, di jet, come di apparecchi medici. Ma nessuno dei 18 procedimenti per corruzione e lucro sui beni pubblici hanno portato ad una condanna definitiva in una decade di processi contro la coppia da premierato. Zafari è stato però trattenuto nel Paese in attesa di giudizio fino al 2004, dopo otto anni tra prigione e domiciliari.

Intanto Benazir lo aveva preceduto con i tre figli nell'esilio dorato di Dubai, già fin dal 1999, quando l'atmosfera per lei e il suo nemico-amico Navaz Sharif (oppositore dei generali all'interno della dominante Lega dei Musulmani) si era fatta troppo pesante sotto il dittatore Musharraf. Anche lei era stata implicata in cinque dei processi per corruzione in cui il marito era il principale accusato: il più grave riguardava una fornitura all'aviazione per una quindicina di F-16. Benazir aveva sempre rimandato al mittente le accuse, e non era mai stata condannata. Nel corso dell'ultimo procedimento, Benazir era stata condannata per non essere comparsa in aula. La corte Suprema in grado definitivo cassò il giudizio. Alcune registrazioni pirata in seguito mostrarono incontri segreti tra i giudici che la condannarono e gli alleati politici più vicini all'allora presidente Sharif. Sembra che il leader della Lega dei Musulmani avesse provato a convincere i giudici a condannarla per eliminare la sua concorrente più amata dal popolo. I suoi guai giudiziari avevano anche valicato i confini nazionali: nel 2004 aveva fatto ricorso in appello a Ginevra avverso una sentenza che la condannava per riciclaggio di denaro nei suoi conti svizzeri.

Negli ultimi mesi, mentre le critiche ai sistemi dittatoriali di Musharraf montavano tra i pachistani, i suoi appelli per un governo democratico acquistavano sempre più appeal e venivano ripetuti dai media indipendenti. A inizio ottobre arrivò l'amnistia assoluta per tutte le accuse di corruzione, che completò il tassello per il suo rientro. Nella settimana precedente era arrivato l'accordo (durato il breve volgere d'un mese) col dittatore Musharraf, per dividere il potere e liberare il Pakistan dalla presenza degli estremisti islamici: al dittatore un nuovo mandato presidenziale, a patto di smettere la divisa, e per Benazir la possibilità di rientrare e concorrere ( e vincere, sicuramente) un terzo mandato da prima Ministra.
La fine dell'esilio era prevista per il 18 ottobre, ma nel corteo di 300mila persone che la scortava festosamente a Karachi, dove si trova la villa di famiglia, ci furono almeno 130 morti quando due kamikaze si lanciarono contro il bus che la scortava in parata trionfale verso un monumento importante per i pachistani. Benazir allora si salvò con solo qualche contusione. Solo 20 giorni prima aveva giurato guerra ai talebani, dichiarando alla tv Bbc in esclusiva che “ricorrerei anche all'aiuto degli Usa pur di liberarmi dello Sceicco del Terrore (Osama bin Laden, che pare si nasconda nelle montagne del Waziristan dal 1999), ma potrei decidere di agire anche da sola, se fossi alla guida del Pakistan”. Forse la dichiarazione che l'ha persa per sempre.


(Gianluca Ursini)

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