giovedì 6 dicembre 2007

Siamo scimpanzé cannibali

Da un articolo di Jane Goodall (etologa e antropologa britannica)

"Quando cominciai le mie ricerche sugli scimpanzé nel 1960, non avrei mai immaginato che 40 anni dopo sarebbero ancora continuate in modo tanto impetuoso. E invece gli studi al «Gombe National Park» proseguono ininterrotti, oggi con un team di scienziati e di assistenti, perlopiù tanzaniani. E proprio grazie a questo tipo di ricerche di lungo termine ora sappiamo che gli scimpanzé sono molto simili a noi, sia dal punto di vista biologico sia comportamentale.

Gli scimpanzé possono vivere per oltre 60 anni in cattività, sebbene allo stato selvaggio non superino i 45-50. Dimostrano una prolungata dipendenza dalla madre, poppando al seno, dormendo nelle sue braccia e giocando sulla sua schiena fino all’età di cinque anni. Si sviluppano legami forti, intensamente affettivi, tra i membri della stessa famiglia e durano tutta la vita.

L’anatomia del cervello dello scimpanzé e dell’essere umano è simile e gli scimpanzé dimostrano capacità intellettuali che un tempo si pensava fossero una nostra prerogativa. Dimostrano, inoltre, emozioni simili o identiche a quelle che definiamo felicità, tristezza, paura, dolore. Gli scimpanzé, poi, sono anche capaci di comportamenti altruistici. Un esempio toccante è la storia di Mel, che ha perso la madre quando aveva tre anni e non aveva fratelli o sorelle che potessero prendersi cura di lei. Incredibilmente, un maschio adolescente della comunità, Spindle, l’ha «adottata». Spindle portava a spasso Mel, condivideva con lei il suo cibo e la riportava al nido ogni sera. Fatto ancora più incredibile, proteggeva Mel dai maschi più anziani, rischiando anche di essere preso a botte, cosa che in effetti è successa.

E come gli esseri umani sono capaci delle peggiori brutalità così lo sono gli scimpanzé. Abbiamo assistito ad attacchi di tipo cannibalistico contro alcuni piccoli e sappiamo che gli scimpanzé praticano anche una sorta di guerra primitiva. Dal 1974 al 1977, a Gombe, gli esemplari di una comunità hanno sistematicamente ucciso quelli di un gruppo ribelle, in una serie di attacchi brutali che duravano tra 10 e 20 minuti. Le vittime erano individui con cui gli aggressori avevano giocato fino a poco tempo prima e che a volte avevano anche nutrito.

La differenza più evidente tra gli scimpanzé e gli esseri umani - secondo me - è che noi siamo le uniche creature che hanno sviluppato un linguaggio parlato altamente sofisticato. Gli scimpanzé non possono, per quello che sappiamo, dirsi l’un l’altro cose che sono accadute in un lontano passato, elaborare progetti per un futuro distante o, ancora, insegnarsi cose che non appartengono al presente.

Il nostro linguaggio (e la nostra mente) ci ha dato il potere di dominare le altre specie e di sottomettere la natura. E tuttavia non usiamo queste doti in modo saggio. Stiamo distruggendo il pianeta e molti animali - compresi gli scimpanzé - sono sull’orlo dell’estinzione. Un secolo fa, in Africa, erano circa 2 milioni. Oggi si stima che siano tra 184.300 e 221.600. In parte il declino è dovuto alla distruzione del loro habitat. Ma la minaccia maggiore è il «bushmeat trade», la caccia a fini commerciali per la vendita della carne.

Per centinaia di anni le popolazioni locali hanno vissuto in armonia con il mondo della foresta, uccidendo solo gli animali necessari per nutrire i villaggi. Ora, però, la caccia non è più sostenibile. Negli Anni 80 le società che sfruttano il legname hanno aperto vaste aree vergini delle foreste pluviali, consentendo ai cacciatori di penetrarvi e di colpire qualsiasi specie, dagli elefanti agli scimpanzé, fino alle antilopi, agli uccelli e ai rettili. La carne viene macellata e arrostita e portata nei mercati. Lì l’élite urbana è disposta a pagare molto, più che per un pollo o una capra. E’ una questione culturale. I cacciatori, inoltre, vengono pagati per procurare cibo ai tagliatori di legna. Queste attività commerciali impoveriscono la foresta e minacciano il futuro delle stesse comunità indigene.

Il «Jane Goodall Institute» è una delle Ong che fanno parte del «Congo Basin Forest Partnership»: grazie ai fondi del dipartimento di Stato Usa e dell’Ue cerca di bloccare il commercio della carne. Lavoriamo con altre Ong, con rappresentanti governativi, con agenzie internazionali e con il settore privato, comprese le società estrattive e quelle del legname. Tentiamo di educare e coinvolgere le popolazioni locali.

Se questi sforzi non andranno a buon fine, le grandi scimmie del bacino del Congo potrebbero estinguersi entro 15 anni. E se non avremo successo, quasi tutti gli straordinari animali dell’area scompariranno e la foresta si svuoterà. Non possiamo permetterci che accada. Sempre più persone hanno capito che le scimmie sono in pericolo e vogliono dare un aiuto. Il «Jane Goodall Institute» ha un network di sostenitori convinti, che vogliono lasciare un’eredità positiva ai figli e ai nipoti. Noi immaginiamo un futuro in cui le grandi scimmie vivano in pace, nel loro mondo intatto, senza la minaccia di estinzioni di massa. Sono convinta che si possa costruire un futuro del genere, ma solo se ciascuno di noi farà la propria parte, generando consapevolezza, diffondendo allarmi, sostenendo i gruppi che lavorano per le scimmie. Non c’è tempo da perdere."

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