Quando ancora andava a gattoni, lo stato sottrasse Bruce Trevorrow alla sua famiglia e lo affidò a un'altra. Ora, per decisione della Corte suprema dell'Australia del sud, questo australiano di 50 anni riceverà circa 18 euro per ogni giorno passato da quel momento. Perché Trevorrow fa parte di quella che è stata ribattezzata “la generazione rubata”: circa 100mila bambini aborigeni, tolti forzatamente alle loro famiglie e cresciuti poi da genitori bianchi tra il 1910 e gli anni Settanta, senza poter avere contatti con quelli veri. Ed è il primo a cui sia stato concesso un risarcimento.
Nel giorno di Natale del 1957, quando aveva solo 13 mesi, Trevorrow fu portato in un ospedale di Adelaide per alcuni dolori allo stomaco. Nelle carte mediche, fu scritto che il bambino era senza genitori, trascurato e malnutrito. Falso: il piccolo Bruce era semplicemente l'ennesima vittima della politica australiana – federale e dei singoli stati – di “salvare” bambini aborigeni o di sangue misto affidandoli a famiglie bianche. Nella convinzione che le comunità native fossero inferiori e senza possibilità di elevarsi socialmente, secondo questo ragionamento, almeno si poteva dare ai bambini un altro futuro. Trevorrow non rivide più il padre. E nonostante le continue suppliche della vera madre alle autorità, fu in grado di rivedere la sua famiglia solo dopo dieci anni.
Il caso di Trevorrow è giunto a conclusione a un anno e mezzo dall'inizio del processo. La Corte ha ordinato allo stato dell'Australia del sud di ricompensare Trevorrow con 525mila dollari australiani (quasi 328mila euro), per i danni che lo sradicamento forzato dalla sua famiglia gli ha causato nella vita. L'uomo è riuscito a provare, anche confrontando il suo sviluppo personale con quello dei fratelli rimasti nella famiglia originaria, che la sottrazione gli ha procurato crisi di identità, depressione, problemi di alcolismo e una vita professionale precaria. “Ho pensato che non saremmo mai arrivati a questo giorno”, ha dichiarato dopo la sentenza, “ma invece è successo, e ora sono in pace per iniziare una nuova vita”.
Il primo ministro dell'Australia del sud, Mike Rann, ha detto che il governo non farà ricorso contro il verdetto perché Trevorrow “ne ha già passate abbastanza. La cosa più compassionevole da fare è porre fine a qualsiasi incertezza per lui. E' tempo che sia fatta giustizia”. Ma se la vicenda di Trevorrow ha avuto il lieto fine, le altre decine di migliaia di appartenenti alla “generazione rubata” non possono dire altrettanto. Un'inchiesta nazionale sul fenomeno, realizzata nel 1997, confermò i danni psicologici per quei bambini, esortando le autorità federali e statali a scusarsi e a risarcire. Ma il primo ministro John Howard si è sempre rifiutato di porgere le scuse da parte del governo australiano, sostenendo di non poter far proprie le colpe dei suoi predecessori. Di conseguenza, con l'eccezione della Tasmania, nessuna autorità pubblica in Australia ha mai pensato a istituire un fondo per risarcire i bambini aborigeni trapiantati in famiglie bianche. E anche dopo la sentenza per Trevorrow, il ministro australiano per gli Affari indigeni, Mal Brough, ha escluso pagamenti collettivi da parte del governo.
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