È l'anarchia a farla da padrona nella periferia di Rio. La criminalità organizzata sguazza in uno stagno di povertà, impunità e desolazione, e si erge quale factotum che tutto controlla. Basata sul narcotraffico, sul contrabbando di armi, su pizzi e contributi estorti alla gente dei villaggi, la malavita si fa strada a suon di colpi d'arma da fuoco. Uccide l'adepto che ha sbagliato, o quello che ha tradito; si improvvisa in estemporanei duelli con pattuglie di polizia la squadre di militari spedite a dare quanto meno la parvenza della presenza statale; si scontra in quotidiani far west con bande rivali per il controllo del territorio ed si guarda le spalle da bande paramilitari, che si improvvisano tutori dell'ordine a suon di mitra. Tutto questo, alla faccia di donne, bambini, anziani, famiglie che tentato di vivere una vita decente in una zona che di decente ha ormai ben poco.
Il 70 percento dei desaparecidos denunciati dal dipartimento Omicidi della capitale carioca, e resi pubblici dal quotidiano brasiliano O Globo, sono vittime proprio di narcotrafficanti, polizia e milizie. E si tratta di un numero 54 volte superiore a quello riguardante le sparizioni durante la dittatura militare in Brasile. Se poi si aggiungono le migliaia di morti degli ultimi anni – 1631 solo da febbraio scorso, in base al conto tenuto dal sito internet made in Brasile Rio body count – il quadro è presto fatto. A Rio c’è una vera e propria guerra, che tiene fuori dalla porta democrazia e stato diritti. A Rio c’è una vera e propria dittatura, la dittatura del terrore.
Le famiglie degli scomparsi non si danno pace. Da anni reclamano informazioni sui loro congiunti, generalmente giovani, molti dei quali minorenni. Le regole del gioco criminale sono spietate: i cadaveri scomodi vengono sotterrati alla zitta in luoghi ameni per evitare problemi con la polizia. Chi è eliminato non ha nemmeno il diritto a un funerale. E, a quanto raccontato alla polizia da alcuni narcos ‘pentiti’, prima di essere uccisi, vengono persino torturati. Anzi, durante un processo, uno di questi delinquenti raccontò, davanti alla madre di uno dei giovani desaparecidos - la quale svenne - che prima di finirlo, al ragazzo furono tagliate le narici con le forbici. E, durante il percorso fino al luogo della sepoltura, li vennero tagliati uno a uno ogni dito, le orecchie e la lingua. Un'altra volta la vittima venne squartata ancora in vita e i pezzi del cadavere vennero poi sparpagliate.
Una sorte simile toccò anche a un giornalista. Si chiamava Tim Lopes e lavorava per O Globo. Prima di venir ucciso a colpi in testa, venne barbaramente torturato. Poi i suoi resti vennero carbonizzati. A raccontarlo, uno dei delinquenti che prese parte al commando omicida, arrestato dalla polizia.
Nelle favelas, il narcotraffico “ha imposto il suo codice di leggi marzial”, ha commentato l’ex ministro della Giustizia e attuale presidente della Commissione diritti umani dello stato di San Paolo. La sparizione dei corpi non è che una delle conseguenze della violenza che impera nelle favelas, dove la gente ci vive e ci muore non gode degli stessi diritti fondamentali degli altri cittadini. Le favelas sono un posto altro dal Brasile delle cartoline. Sono la faccia oscura di una gigante in marcia verso il boom economico, energetico, alimentare. E i governanti lo sanno. Per questo Lula sta investendo fette copiose del bilancio federale nel risanamento urbano e nella lotta alla violenza. Ma poco si sta facendo, ancora, per combattere disoccupazione e analfabetismo. Non è militarizzando che si risolvono le gravi piaghe sociali. Questa gente dovrebbe prima di tutto avere il diritto di vedere la presenza dello Stato negli occhi di insegnanti e assistenti sociali, e non solo nelle canne di fucile in dotazione all’esercito.
(Stella Spinelli)
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