(Gianmarco Boccaccio)
sabato 22 settembre 2007
Kareem Abdul Jabbar
Lewis Ferdinand Alcindor, e chi era costui ? Forse agli spettatori meno attenti del basket NBA questo nome può dire poco o nulla, ma dietro ad esso si cela uno dei più forti giocatori della pallacanestro di tutti i tempi : Kareem Abdul Jabbar. Nato nel 1947 a New York, già giovanissimo attira le attenzioni dei vari college americani, dato il suo fisico possente (più di 2 metri a solo 14 anni !) e per la capacità di trascinare la squadra della sua scuola, la Power Memorial Academy, alla vittoria in tre campionati consecutivi con un record di ben 53 vittorie di fila. Stando alle statistiche dell'epoca Lew Alcindor, in quei tre anni giocati al liceo, riesce a mettere insieme qualcosa come 2.067 punti e 2.002 rimbalzi. Queste maiuscole prestazioni fanno talmente tanto rumore nel mondo della pallacanestro universitaria che il giovane giocatore di colore riceve circa duecento proposte di studio da parte dei migliori colleges americani. La scelta del futuro campione ricade sulla gloriosa UCLA (University of California, Los Angeles), sulla cui panchina siede il "guru" del basket universitario statunitense : il leggendario John Wooden; l' esperto coach non fatica a riconoscere nel nuovo arrivato un campione di classe sopraffina e costruisce la squadra ed i suoi schemi intorno a lui, stravolgendo il pur vincente team degli anni precedenti. Tanta fiducia viene ripagata da Alcindor guidando l'UCLA a tre titoli NCAA consecutivi ('67-'68-'69) ottenendo anche, per quelle tre stagioni, la nomina di MVP del torneo, con la media, per quel periodo stratosferica, di 26,4 punti per partita. Quello che emerge dal campionato universitario è un giocatore molto potente fisicamente (218 cm. di altezza per 105 kg. di peso) ma anche veloce ed estremamente tecnico: non si era mai visto un centro capace di segnare caterve di punti, essere micidiale nei rimbalzi (media di circa 15 per partita), stoppare gli avversari con una facilità irrisoria, fornire assist con l'abilità di un play, andare al tiro con ottima precisione il tutto condito da una classe ed un' eleganza uniche per un centro. Dirà di lui Bill Cousy, grandissimo playmaker dei Boston Celtics degli anni '50 e '60 : "…da solo riesce a combinare molto bene le capacità nelle quali eccellevano Bill Russell e Wilt Chamberlain…".Ovviamente prima scelta per i draft nell'annata 1969/1970, viene conteso dai Milwaukee Bucks (squadra appartenente all' NBA) e dai New Jersey Nets (franchigia iscritta all'ABA) in un asta a suon di soldoni : con l'offerta di più di un milione di dollari a stagione(impensabile per un qualsiasi esordiente) i Bucks hanno la meglio e mettono sotto contratto il miglior talento mai visto su un campo di basket fino a quei tempi. La prima stagione di Alcindor in NBA è esaltante : con 2.361 punti e 1.190 rimbalzi vince il premio come rookie of the year e trascina la squadra fino alle semifinali, perdendo solo al cospetto dei New York Knicks, futuri campioni di quell'anno. Visti i risultati, nel 1970 i Bucks decidono d puntare al loro primo "anello", e costruiscono intorno a lui una squadra di assoluto valore e tra tutti i nuovi arrivi spicca l'ingaggio del veterano Oscar Robertson ("big O"), pluridecorato giocatore di classe cristallina. Sotto l'abile guida del coach Larry Costello, la squadra di Milwaukee stravince il titolo NBA (66 partite vinte nella stagione regolare, record ai playoff di 12 - 2) ed Alcindor conquista a furor di popolo (e di canestri : top scorer della stagione alla media di 31,7 a partita !) il riconoscimento come MVP dell' intero campionato. La supremazia sotto i tabelloni ed il suo famosissimo "gancio cielo" (sky hook), tiro praticamente impossibile da stoppare e che lui esegue con millimetrica precisione, sono i punti di forza di un atleta che piace al pubblico del basket anche per la sua serietà professionale e per i suoi atteggiamenti da antidivo, senza tante mattane per la testa. Anche se la sua popolarità, in questo periodo della sua carriera, subisce un duro colpo. Già musulmano praticante dai tempi dell' UCLA, Lewis Alcindor decide proprio alla fine della stagione 70'-'71 di cambiare il proprio nome in Kareem Abdul Jabbar, per onorare la propria fede religiosa. Gli appassionati della pallacanestro rimangono scioccati da questo repentino cambiamento e, grazie anche alla stampa mostratasi ostica nei confronti del campione newyorkese, voltano le spalle al loro beniamino. Kareem, incurante di ciò, tira diritto per la sua strada : solo il tempo renderà giustizia a questo grandissimo giocatore che riconquisterà l'affetto e la stima dei tifosi grazie al suo carattere ed alle immense doti cestistiche. Nonostante il fatto che negli anni successivi i Bucks non riescano a ripetere le prestazioni della magica stagione dell'anello, Jabbar continua a giocare da par suo macinando canestri su canestri e meritandosi nuovamente il titolo di MVP per le stagioni '71-'72 e '73-'74. Il punto di svolta nella carriera di Kareem arriva alla fine della stagione 74'-'75: in quella appena conclusa, infatti, si era ritirato il compagno di tante vittorie Robertson e di conseguenza i verdi di Milwaukee si erano ritrovati a navigare nelle zone basse delle classifiche con un quintetto base non all' altezza della situazione, una cosa non certo gradita al campione americano che da lì cominciò a guardarsi attorno per cambiare squadra. Nello stesso momento i Los Angeles Lakers erano alla ricerca di un giocatore che potesse degnamente sostituire il leggendario "the stilth" Wilt Chamberlain, recordman di punti segnati nell'NBA e trascinatore della franchigia gialloviola già dagli anni '60. I Lakers sono una sistemazione assai gradita a Jabbar, data la grande tradizione cestistica di quella società, e il trasferimento, tra lo scalpore generale, si realizza su queste basi : Kareem va a Los Angeles in cambio di Elmore Smith, Brian Winters, Junior Bridgeman e Dave Meyers.; si va ad inserire quindi il primo tassello di una formazione che passerà alla storia, soprattutto negli anni '80, per il suo gioco scintillante basato sulla velocità e sul micidiale contropiede : lo "showtime". Nonostante Jabbar continui a dare spettacolo (nuovamente MVP del campionato '75-'76 con 27,7 punti e 17 rimbalzi a partita), i Lakers faticano molto ad ingranare; la squadra è in un delicato momento di transizione, dato lo svecchiamento della rosa cominciato qualche stagione prima, e con una deludente media - vittorie sotto il 50% fallisce l'obiettivo minimo di entrare nei playoff, mentre nell'anno seguente riesce ad issarsi fino alle semifinali, battuta solo dai sorprendenti Portland Trail Blazers capitanati dal baffuto Bill Walton, ex compagno di università di Kareem. Gli stessi Blazers vinceranno quel torneo in modo del tutto inaspettato, ma la palma del miglior giocatore dell'anno andrà al "solito" Jabbar che, come in una sorta di maledizione, non riesce a scrollarsi di dosso la scomoda etichetta di "campione perdente". Nel 1978 un brutto episodio fa ulteriormente calare la già scarsa popolarità del centro di Los Angeles: durante l'incontro con i Bucks, Kareem colpisce volontariamente con un pugno il promettente pivot Kent Benson, fratturandogli una mano; questo episodio violento, più unico che raro nella sua gloriosa carriera, costa molto caro a Jabbar (5.000 $ di multa e squalifica per 20 partite) ed indirettamente anche ai gialloviola che si vedono privati della possibilità di accedere alle fasi finali, causa la prolungata assenza del loro miglior realizzatore. C'è comunque da sottolineare che dalla fine del '77 all' inizio del '79 si registra una pur lieve flessione nelle prestazioni del campione newyorkese, e la stampa, che ancora a distanza di anni non gli perdona il cambio di nome, comincia a sollevare dubbi sulla capacità di mantenersi a così alti livelli di gioco e ne decreta un lento ma inesorabile tramonto. La migliore risposta, come al solito, arriva dal campo. Nell'annata '79 - '80 , grazie anche all'arrivo dal college di Michigan State della matricola Earvin "Magic" Johnson, i Lakers giocano un campionato memorabile (saranno 60 le partite vinte nella stagione regolare) e riescono ad aggiudicarsi in 6 partite la vittoria ai playoff contro i 76ers di Philadelphia guidati dal mitico "doctor J" Julius Erving. Votato nuovamente MVP dell'anno, Kareem torna ad esprimersi ai suoi più alti livelli, ma purtroppo un banale infortunio alla caviglia lo tiene fuori dal campo nella partita decisiva delle finali : il suo posto sotto i tabelloni viene preso proprio da Magic che, facendo tesoro dei continui insegnamenti ricevuti dal più anziano compagno di squadra, con una prestazione "alla Jabbar" sbaraglia il campo e trascina Los Angeles al trionfo. Negli '80 i Lakers con la coppia Kareem - Magic, unita ad altri ottimi "gregari" (Bob Mc Adoo e James Worhty tanto per citarne un paio), trova nei Boston Celtics di Larry Bird, Bob Parish e Kevin Mc Hale i suoi più degni rivali. Le due franchigie si spartiranno i successi di tutto il decennio lasciando agli altri solo le briciole: cinque vittorie per i Lakers, tre per Boston ed un anello a testa per Philadephia e Detroit. Nonostante l' avanzare dell' età, Kareem tiene il campo in maniera perfetta risultando ancora, a trentotto anni suonati, miglior giocatore dei playoff e battendo proprio in quella stagione (1984/1985) il record di punti segnati in carriera, demolendo il precedente primato che apparteneva a Wilt Chamberlain; la curiosità di questo record è che fu superato durante una partita di stagione regolare a Boston tra Celtics e Lakers : proprio gli sportivissimi tifosi degli acerrimi nemici ebbero l'onore di tributare al grande campione una standing ovation di dieci minuti. Jabbar chiuderà con la pallacanestro a 42 anni quando, nonostante l'assenza per infortunio di Magic Johnson, riuscirà ancora a guidare la squadra di Los Angeles fino all' ottava finale degli anni '80 disputata, e persa, contro i Detroit Pistons. Il seguente tour di addio al basket è stato seguito da moltissimi tifosi che gli hanno tributato infinite ovazioni e manifestazioni di affetto, dimostrando che Lew Alcindor o Kareem Abdul - Jabbar , comunque lo si voglia chiamare, è stato un patrimonio non di una squadra solamente ma di uno sport intero.
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