Appena tredicenne in agosto scala il monte Duranno ed è del 1968, a diciotto anni, la prima via aperta sulla Palazza. La madre abbandona la famiglia pochi mesi dopo la nascita del terzo figlio, Richeto, e passeranno diversi anni prima che faccia ritorno a Erto. Oltre al grande vuoto, da buona lettrice lascia ai figli un patrimonio di libri non indifferente, che Mauro comincia a divorare facendosi compagnia con i personaggi e le storie creati da Tolstoj, Dostoevskyj, Cervantes e altri grandi autori.
Ai nonni resta il compito di tirare su i ragazzi. Dal vecchio Felice, abilissimo intagliatore, Corona apprende sin da bambino i rudimenti della scultura. Ma è l’unico in casa a divertirsi incidendo cucchiai e mestoli di legno con occhi, nasi, volti. Nel frattempo frequenta la scuola elementare fino all’ottava classe a Erto, poi inizia le medie a Longarone. Ma il 9 ottobre 1963 la gigantesca ondata del Vajont spazza letteralmente via la cittadina. Mauro, insieme al fratello Felice, sarà costretto allora a trasferirsi per tre anni nel Collegio Don Bosco di Pordenone. Quando finalmente i due fratelli, terminato il collegio, tornano a Erto, Mauro, da sempre consapevole della sua profonda passione, vorrebbe frequentare la Scuola d’Arte di Ortisei. Per tutta risposta viene iscritto all’Istituto per Geometri Marinoni di Udine, perché era gratuito.
Dopo 2 anni viene ritirato dalla scuola, visto che per ribellione non segue più le lezioni, preferendo leggere Tex in classe.Nemmeno Felice continua gli studi: nel 1968 parte per la Germania con la speranza di di guadagnare qualche soldo impiegandosi in una gelateria. Nemmeno tre mesi dopo annegherà in una piscina di Paderborn, a diciassette anni. Mauro lascia il posto da manovale che aveva trovato a Maniago e va a spaccare massi nella cava di marmo del monte Buscada. Sospende l’attività solamente durante il periodo del servizio militare, a vent’anni. Con i capelli lunghi fino alle spalle, lascia i monti e parte per l’Aquila arruolato negli alpini. Da lì finisce a Tarvisio nella squadra sciatori.
Si congeda con un mese di ritardo, causa trentadue giorni di Cella Punizione Rigore.
Su alla cava con l’inesorabile avanzare del progresso, la vita comincia a cambiare. Poco a poco tutti gli operai abbandonano il campo, alla ricerca di altre strade per sopravvivere. Il lavoro si automatizza, ma il giacimento va avanti ancora per poco. Chiuderà negli anni ottanta. Mauro ci passa ancora le giornate come scalpellino riquadratore quando un fatto inatteso lo convince a tentare la sorte con la scultura. Nei ritagli di tempo e durante i lunghi mesi invernali, non aveva mai smesso di intagliare figurine in legno, camosci, scoiattoli, uccelli e Madonnine. Li teneva nascosti, non mostrandoli a nessuno per pudore e timidezza.
Nel 1975 un distinto signore di Sacile, Renato Gaiotti, passa per caso in via Balbi, davanti al minuscolo covo dove già da qualche anno Mauro abita in beata solitudine, non distante dalla casa dei genitori, nella vecchia Erto. Il foresto nota alcune piccole sculture attraverso i vetri della finestra al pianterreno e decide di comprarle tutte in blocco. Mauro comincia a sperare davvero di poter vivere d’arte e la sua fiducia si rafforza quando, soddisfatto dell’acquisto, poco tempo dopo Gaiotti gli commissiona una Via Crucis da donare alla Chiesa di Sacile. Per quei quattordici pannelli l’uomo lascia sul tavolo di uno sbalordito Corona due milioni, una cifra stratosferica negli anni settanta. Sembra incredibile, eppure è una svolta: oltre a procurarsi tutto il necessario per rendere vivibile la sua tana, Mauro investe il resto dei soldi nell’attrezzatura indispensabile a scolpire e decide di trovarsi un maestro che gli possa insegnare seriamente il mestiere. La scelta ricade su Augusto Murer, il geniale artista di Falcade morto nel 1985. Tra i due nasce una bella amicizia e Murer sarà presente anche alla prima mostra che Mauro organizza a Longarone.Da allora le esposizioni sono seguite numerose e nei luoghi più disparati, fino in Svizzera.
Mauro intanto non trascura certo l’altra sua grande passione, l’arrampicata. Nel 1977 comincia ad attrezzare le falesie del Vajont, che si affacciano sulla zona del disastro, destinate a diventare meta fondamentale dei climbers di tutto il mondo. Chiodeggia un po’ tutte le crode del Friuli, e non solo. Oggi diverse montagne sono punteggiate da vie di scalata che portano la sua firma, dalla semplice palestra di roccia arroccata in posti inaccessibili alle salite di notevole impegno alpinistico. Mauro però non si limita all’Italia, avventurandosi fino in Groenlandia per una spedizione e volando in California a toccare con mano le leggendarie pareti della Yosemite Valley. Quando ne ha voglia, ama anche scribacchiare. Un amico giornalista un giorno decide di pubblicare alcuni dei suoi racconti sul quotidiano “Il Gazzettino”.
E’ da qui che comincia, all’inizio un po’ in sordina, una nuova attività, quella di scrittore, che lo porta alla pubblicazione di sei libri, dal 1997 fino a oggi. Per puro divertimento partecipa alla realizzazione di alcuni documentari sulla sua vita e prende parte ad un film-denuncia sulla catastrofe del Vajont. Durante tutto questo tempo Mauro non trascura gli affetti e riesce anche a crearsi una famiglia, che tuttora vive con lui.A detta di molti è introvabile. Alcuni dubitano persino della sua esistenza. Altri si vantano di essersi addentrati nei misteri della sua bottega-studio, che sembra scavata in un tronco di cirmolo.
Mauro intanto continua ad occuparsi tranquillamente del suo lavoro. Alterna solitari momenti di studio e di scrittura a conferenze, incontri e manifestazioni, continua a realizzare figure lignee ispirandosi alle forme e alle cose che lo colpiscono durante meditabonde passeggiate tra i boschi della Val Vajont. Va a correre in montagna e porta i figli a scalare. Quando cala la sera a volte lo potete incontrare in osteria che sorseggia un buon rosso con gli amici. A volte più di uno.
1 commento:
leggere l'intero blog, pretty good
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