E' il 26 agosto del 1935. Riccardo Cassin e Vittorio Ratti, reduci dall'impresa vittoriosa sulla Torre Trieste in Dolomiti, partono alla volta delle cime di Lavaredo. L'obiettivo, sulle ali dell'entusiasmo, è quello di salire la cima Ovest lungo la parete nord.
Grandi cordate sono già state respinte dalla parete. Nomi come quelli di Emilio Comici, Mary Varale, Angelo Dimai. E ancora Raffaele Carlesso e Toni Demetz.
Sulla via di salita, le difficoltà, ad un certo punto, sono enormi. Il limite, che pare insuperabile, è un esposto traverso che nessuno è mai riuscito a passare. Si tratta del cosiddetto "limite Comici".
Il tempo è brutto, in quell'agosto. Banchi di nebbia si alternano a scrosci di pioggia intermittente. Alla base della parete, però, c'è anche una forte cordata proveniente dal Kaisergebirge, in attesa. Ne fanno parte Hintermeier e Joseph Meindl, che hanno dalla loro una buona conoscenza della montagna.
Nell'aria, si respira l'atmosfera della grandi sfide.
Il giorno 27, Cassin e Ratti danno un primo assaggio alla nord.
Avvolti dalla nebbia che li nasconde agli occhi dei tedeschi, risalgono i primi metri di roccia per prendere visione del terreno e lasciare all'attacco i materiali ben celati.
Il tentativo è fissato per il giorno dopo.
Il tempo è ancora pessimo la mattina del 28 agosto. Ma ormai la decisione è presa.
Alle 7.30 inizia la scalata.
Prima una fessura superficiale, poi una cengia che porta a un camino e a un colatoio.
Le difficoltà sono sostenute. Ma dopo un potente strapiombo a tetto, i due giungono alla prima sosta.
Una schiarita, ahimè, rivela ai tedeschi le loro intenzioni.
I bavaresi li vedono e si precipitano all'attacco. Ma sarà inutile.
La gara terminerà prima di mezzogiorno. Quando, dopo 4 ore di scalata estrema, i due italiani sono all'inizio del fatidico limite Comici.
I tedeschi invece gettano la spugna e ridiscendono.
Da quel punto alla cengia sovrastante ci sono 40 metri di parete liscia e strapiombante.
Per tutte le 7 ore successive, Cassin e Ratti faranno i conti con l'impossibile passaggio.
Quattro ore per fissare un chiodo, racconterà più tardi Cassin, con voli continui. E con Ratti costretto a manovrare le corde appeso ad una staffa nel vuoto.
E' solo con il buio che la sospirata cengia viene raggiunta.
E' stretta, inclinata. Ma ormai non c'è più tempo per andare oltre.
La notte è vicina: bisogna bivaccare lì, dormendo in piedi con due chiodi piantati alle spalle per ancorarsi alla montagna.
Sono 200 metri dalla base. E la cengia ne sporge di almeno 30 rispetto al punto di partenza.
La notte non è certo comoda.
Appesi a un cordino, i due si svegliano più volte a penzoloni nel vuoto. E verso mezzanotte si scatena l'inferno.
Un potente temporale sferza la montagna e la parete diventa viva.
Scariche di pietre e acqua, e la temperatura che si abbassa.
Un'unica protezione, un altro tetto che sporge sopra la cengia e che risparmia un pò di acqua ai due lecchesi.
Quando finalmente l'alba illumina le tre cime, il temporale si è esaurito ma la parete è intrisa di umidità.
I due sono all'inizio del famigerato traversone: una cengia strapiombante lunga 17 metri, che impegnerà i due alpinisti per tutta la giornata. "E' stato come camminare appesi con le mani a una grondaia e i piedi sul muro della parete. Ma con 250 metri di strapiombo sotto" racconterà Cassin.
Superato il traverso,la salita procede rapida nonostante le difficoltà.
Finchè non inizia a calare il buio.
Serve un nuovo bivacco in parete.
Stavolta la posizione è più comoda: almeno si può stare seduti.
Tuttavia non sarà una notte indolore.
Ancora un temporale, più forte del precedente, inzuppa Cassin e Ratti. E li costringe a stare stretti l'uno all'altro per ore, scossi dai brividi del freddo.
Poi, finalmente, è mattina.
Ma si tratta di un'alba senza sorriso.
Il cielo è grigio e le nubi minacciano ancora pioggia.
La temperatura non accenna a salire. Ma i due partono comunque.
La parete sembra un grande colatoio.
Dall'alto precipitano secchiate d'acqua che costringono gli alpinisti a due ore di scalata ardua per superare l'ennesimo strapiombo.
Poi, la sopresa.
Dalla parete spunta una grotta ampia e accogliente.
Prima ancora che Ratti, secondo di cordata, la raggiunga, i primi fiocchi di neve iniziano a cadere.
Di lì a poco, si scatena di nuovo la bufera.
Una grandinata incrosta di ghiaccio la parete.
Poi alle 11 un pallido sole comincia a far capolino.
La temperatura resta comunque bassa: il ghiaccio non si scioglie.
Cassin e Ratti decidono di ripartire lo stesso.
Con ai piedi le sole pedule, e a colpi di martello per liberare gli appigli, tracciano una via quasi perfettamente verticale sotto alla cima della Ovest.
Le difficoltà diminuiscono finchè, alle tre del pomeriggio,ecco l'uscita in vetta.
Dopo 500 metri di dislivello e 60 ore in parete, uno degli ultimi "problemi" delle Alpi è risolto
Al loro ritorno Cassin e Ratti troveranno un'altra sorpresa: i tedeschi attendono i vincitori con una mazzo di stelle alpine e del the caldo.
Lealtà sportiva di un tempo che fu.
Hintermeier e Meindl saranno i primi a ripetere la via Cassin-Ratti. Mentre i lecchesi, di ritorno a casa, vengono portati in trionfo dai concittadini.
Ad accoglierli una stazione affollatissima,la banda e un corteo festante.
Altri tempi.
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