La Regina delle Nevi era una fata bellissima. Pastori e cacciatori che s’inerpicavano lassù, sulle vette eccelse delle Alpi, dove regnano le nevi perpetue, restavano incantati della sua tanta bellezza e avrebbero dato qualunque cosa per poterla sposare.
Davano infatti quasi sempre la vita. Perché una legge implacabile del destino impediva che la Fata potesse sposare un mortale. La Regina delle Nevi del resto doveva aver proprio un cuore di ghiaccio: attirava presso il suo palazzo di cristallo i malcapitati, li accoglieva benevolmente, poi, sul più bello, appena essi le domandavano di sposarli, sbucavano fuori, a un suo cenno, migliaia e migliaia di folletti da tutti i crepacci delle rocce.
Erano tanti e tanti, che non se ne vedeva la fine e, circondando il pretendente e sospingendolo verso l’abisso, lo facevano precipitare giù per i picchi dirupati. Il giorno dopo qualche alpigiano ritrovava il suo cadavere sulla riva del torrente.
Un giorno, questa sorte crudele toccò a un giovane ardito cacciatore di camosci, il più bel giovane che si fosse mai veduto al mondo. Aveva visto la Regina delle Nevi in una rosata aurora di maggio e n’era restato cosi affascinato che, tornato in pianura a casa sua, non aveva più trovato pace e non pensava che a lei.
Era timido e ingenuo, e perciò non osava ancora rivolgere alla bellissima Regina la fatale domanda di nozze: ma, da quel primo giorno che l’aveva ammirata, era tornato più volte nel regno delle nevi per aver la possibilità di rivederla ancora. Si sedeva ai piedi di lei, taciturno, e stava ore intere a contemplarla senza nemmeno muoversi.
La Fata era in verità commossa di questa muta ammirazione. E siccome il giovane non domandava di sposarla, non c’era ragione di chiamare l’aiuto dei folletti. Forse anche, chi sa, senza avvedersene, la Fata gli si era affezionata. E se non ci fosse stata la legge del destino a vietarle le nozze con un mortale, forse quello era l’unico uomo che si sarebbe adattata a sposare.
I folletti se ne erano accorti e temendo che la loro Regina potesse un giorno trasgredire la legge e attirare nel regno il castigo, di loro spontanea iniziativa, senza aver avuto alcun ordine dalla loro sovrana, anzi a sua insaputa, una volta che videro il giovane salire le balze dirupate del monte, lo attorniarono e lo spinsero nell’abisso sottostante.
Era il tramonto e le torri lucenti del gran palazzo di cristallo, dimora della Regina, erano tutte rosate per l’ultima carezza dei raggi del sole morente. Da una finestra del palazzo, la Regina delle Nevi aveva visto ogni cosa.
Era fatale che fosse cosi, ma il cuore di ghiaccio della Regina delle Nevi si era a poco a poco mutato in un povero cuore sensibile di donna: dai suoi occhi divinamente belli scesero calde lacrime che, rotolando giù, come vive perle, sulla superficie levigata del ghiacciaio, scesero tra le rupi e li si fermarono, cambiandosi in piccole stelle d’argento.
Così nacquero le stelle alpine ("edelweiss" in tedesco), che spuntano proprio sul margine dei precipizi per ricordare, agli audaci che vogliono coglierli sfidando il pericolo, l’antica storia d’amore e di morte del giovane cacciatore di camosci che amò segretamente la Regina delle Nevi e fu da lei segretamente riamato.
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